Il racconto di una sentenza della Corte di Cassazione che pone i paletti su una norma nevralgica per il diritto dell’economia circolare e, più in generale, su alcuni aspetti dei reati ambientali commessi nell’esercizio d’impresa
Indice
La cessazione della qualifica di rifiuto: che cos’è?
Storia di un carrozziere
La sentenza – I motivi di ricorso
a) Il reato di gestione non autorizzata di rifiuti
b) Il reato di deposito incontrollato di rifiuti
c) La non punibilità per particolare tenuità del fatto e i benefici di legge
La sentenza – La decisione
a) il reato di gestione non autorizzata di rifiuti
b) Il reato di deposito incontrollato di rifiuti. Il deposito temporaneo.
c) La non punibilità per particolare tenuità del fatto. La non occasionalità del comportamento e l’esercizio dell’attività d’impresa
d) La sospensione condizionale della pena
Conclusioni e lezioni
1) La cessazione della qualifica di rifiuto: che cos’è?
Nel mondo in continua evoluzione del diritto dell’economia circolare c’è uno strumento che permette a un rifiuto di diventare qualcosa di diverso: un prodotto o una materia prima, in breve un oggetto pronto a essere nuovamente utilizzato o immesso sul mercato, con tanto di valore di mercato.
Ovviamente, questa specie di prodigio dovrà avvenire non a seguito di un’operazione alchemica, ma di un procedimento sicuro per l’ambiente e la salute umana: a tal fine, dovranno essere rispettate regole stringenti e criteri specifici, contenuti anzitutto nella cosiddetta “direttiva quadro” dell’Unione Europea (all’epoca si chiamava ancora Comunità Europea) sui rifiuti1, e poi, a livello nazionale, nel cosiddetto Testo Unico Ambientale.2
La finalità della “cessazione della qualifica di rifiuto” – il nome tecnico dell’istituto è questo – è la stessa che ispira quello dei sottoprodotti sui quali ci siamo soffermati su questo blog di recente: risparmiare materia prima e prevenire \ ridurre la formazione di rifiuti o quantomeno prepararli per il riutilizzo3, che sono principi fondativi di tutta l’economia circolare4.
Qui raccontiamo la storia di una pronuncia della Corte di Cassazione proprio in tema di “end of waste” (è il modo in cui non solo gli anglofili irriducibili indicano il procedimento e la relativa normativa di cui ci stiamo occupando), una delle ultime emesse in questo ambito.
2) Storia di un carrozziere
Questa sentenza5 ha a base autoveicoli fuori uso e pezzi derivanti dal relativo smantellamento e risulta particolarmente interessante per la varietà di questioni giuridiche trattate e per la ricchezza di utilissime indicazioni pratiche che possono ricavarne gli operatori del settore.
Immagina un normale controllo su strada, un furgone carico di pezzi di ricambio. Tutto sembra nella norma, fino a quando un dettaglio non fa scattare l’allarme: quei pezzi provengono da autoveicoli fuori uso e non c’è traccia della documentazione necessaria. La vicenda si conclude in Cassazione, nel modo più infausto per l’imputato: con la conferma di una condanna. Ed è qui che la storia diventa un esempio chiave per chiunque operi nel settore imprenditoriale e abbia a che fare con i rifiuti.
Ma andiamo con ordine.
Un carrozziere (il ricorrente, nel prosieguo) viene condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di gestione non autorizzata di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, e deposito incontrollato di rifiuti6.
Nella sentenza di condanna della Corte d’appello, peraltro, all’imputato non viene riconosciuto alcun beneficio di legge: in particolare, né le attenuanti generiche né la sospensione condizionale. Il che vuol dire che la sentenza di condanna, se diverrà definitiva, dovrà essere eseguita.
Il carrozziere ricorre per cassazione, impugnando tutte le parti della sentenza.
3) La sentenza – I motivi di ricorso
a) Il reato di gestione non autorizzata di rifiuti
Con il primo motivo di ricorso – relativo al reato di gestione non autorizzata di rifiuti – contesta la qualifica di “rifiuti” attribuita dalla Corte di appello ai pezzi di ricambio diretti alla propria officina per essere impiegati nell’attività di carrozziere e meccanico da lui legittimamente esercitata. Denuncia, inoltre, che questa qualifica era stata affermata dalla Corte territoriale senza una perizia.
b) Il reato di deposito incontrollato di rifiuti
Con il secondo motivo – inerente l’illecito di deposito incontrollato di rifiuti – sostiene il corretto smaltimento dei rifiuti secondo i codici CER prodotti dalla difesa e il fatto che i rifiuti sarebbero stati suddivisi ed etichettati in un secondo momento. Anche in questo caso, ribadisce che la condanna sarebbe stata pronunciata in assenza di un accertamento peritale in ordine alla tempistica della giacenza dei rifiuti. Aggiunge, inoltre, che si sarebbe trattato sostanzialmente di un deposito temporaneo di rifiuti, che in quanto tale impedirebbe la possibilità di affermare i due reati contestati allo stesso ricorrente.
c) La non punibilità per particolare tenuità del fatto e i benefici di legge
Infine, l’imputato impugna anche tutte le parti relative alla sanzione inflittagli, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte d’appello non aveva riconosciuto né la non punibilità per particolare tenuità del fatto, né, come accennato, le attenuanti generiche e soprattutto la sospensione condizionale della pena.
4) La sentenza – La decisione
a) il reato di gestione non autorizzata di rifiuti
La Suprema Corte rigetta totalmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile.
Quanto al primo reato, la Corte riepiloga i fatti: al carrozziere è contestata una condotta di gestione non autorizzata di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi; in particolare, l’imputato avrebbe smaltito parti di veicoli fuori uso (5 motori ancora sporchi di olio, 4 cruscotti, 2 sterzi, uno pneumatico fuori uso, 5 paraurti, 3 cofani, 2 cambi anch’essi ancora sporchi di olio) ed un contenitore di plastica, della capacità di 25 litri, contaminato da idrocarburi, affidandoli per il trasporto a soggetto non autorizzato, senza idonea documentazione e destinazione certa dei beni al fine del loro recupero e/o smaltimento.
Con riferimento, poi, al secondo illecito, l’imprenditore è accusato di deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (parti meccaniche di veicoli ancora intrise di olio motore) realizzato in area esterna e di pertinenza dell’officina di proprietà dell’imputato.
In particolare, dalla sentenza della Corte d’appello risulta che:
- la Polizia Locale del Comune di Opera aveva proceduto al controllo di un furgone all’interno del quale venivano trasportate le parti di veicoli fuori uso descritte sopra;
- né il furgone, né i suoi occupanti (tra i quali il ricorrente) erano iscritti all’Albo azionale Gestori Rifiuti;
- le cose trasportate provenivano da un sito già sottoposto a sequestro per reati ambientali; alcuni motori erano addirittura abbinati a veicoli dei quali era stato denunciato il furto;
- uno degli occupanti il furgone aveva spontaneamente dichiarato che lo stesso carrozziere aveva depositato i rifiuti anni prima nel deposito dal quale erano stati prelevati quello stesso giorno per essere trasportati presso l’officina di questi, ove in effetti il furgone si stava recando;
- lo stesso ricorrente, sentito nel corso delle indagini, aveva ammesso di aver organizzato il trasporto del materiale e dei pezzi di ricambio dal magazzino, ove anni addietro li aveva depositati e dal quale erano stati prelevati; il suo intento era, appunto, quello di utilizzarli come pezzi di ricambio;
- era stato effettuato un controllo presso l’officina dell’imputato al cui interno erano stati rivenuti diversi banchi di lavoro con parti di veicoli e bidoni di olio esausto e filtri esausti; all’esterno si trovavano, appoggiati direttamente sul suolo naturale, parti di veicoli derivanti dalle lavorazioni e tubi di gomma, che davano origine a percolazioni di sostanze oleose nel terreno.
In una situazione del genere, che risulta pacifica – affermano i Giudici del Palazzaccio – è difficile dar credito alla tesi difensiva del meccanico per cui non ci si sarebbe trovati in presenza di rifiuti, trattandosi di cose destinate al riutilizzo nella sua officina meccanica.
Più precisamente, è un’affermazione generica e manifestamente infondata.
E’ generica, perché quella tesi omette un passaggio preliminare di decisiva importanza: il pregresso abbandono di tali “cose” presso un capannone effettuato anni prima. Soffermarsi, pertanto, solo sull’utilizzo attuale di quelle “cose” equivale ad astrarre la condotta dallo specifico contesto nel quale è stata tenuta.
E’ manifestamente infondata perché il ricorrente non contesta, come detto, che oggetto del trasporto fossero parti di veicoli (evidentemente fuori uso), alcune delle quali ancora intrise di olio.
A sostegno della propria posizione, nonché di quella della Corte d’appello, la Cassazione richiama la normativa fondamentale in materia di veicoli fuori uso.
I veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti, secondo una espressa previsione contenuta in un allegato del cosiddetto Testo Unico Ambientale (TUA, nel prosieguo)7. Solo le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza disciplinate da una specifica normativa del 20038, provenienti dai centri di raccolta autorizzati, costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato.
La Corte cita, quindi, la normativa fondamentale in materia di cessazione della qualifica di rifiuto, sempre contenuta nel TUA9, in forza della quale un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti. La stessa norma del TUA, peraltro, richiama espressamente anche il testo legislativo del 2003 che si indicava sopra.
Da tutte queste premesse discende, secondo la sentenza che si sta esaminando, che solo le parti di autoveicoli recuperate a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato e secondo le regole poste dalla normativa ambientale, cessano di essere rifiuti.
A questo punto, la Cassazione passa a rispondere alla principale obiezione alla sentenza della difesa del carrozziere, quella secondo la quale non si sarebbe trattato di “rifiuti” sol perché destinati all’utilizzo presso l’officina dell’imputato. A tal proposito, i Supremi Giudici ripetono un principio già enunciato in precedenza: la difesa non tiene conto del fatto che quei beni costituivano rifiuti prima ancora del loro prelievo. Trattandosi di “rifiuti” non sottoposti ad alcuna operazione di recupero, tali sono rimasti anche nel momento in cui sono stati prelevati e trasportati, a prescindere dall’uso che il ricorrente intendeva farne.
La Suprema Corte liquida anche l’ulteriore lamentela del carrozziere, relativa alla presunta necessità di una perizia per stabilire la qualità di rifiuto delle cose trasportate: totalmente priva di valore. La Cassazione fa proprio l’assunto della Corte di appello alla stregua del quale la natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso non necessita di particolari accertamenti, quando risulti, anche soltanto per le modalità di raccolta e deposito, che lo stesso non è stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi o delle altre componenti pericolose. Proprio come nel caso di specie, in cui non è contestato da nessuno che si tratti di veicoli (fuori, uso, né è contestato che fossero ancora intrisi di olio.
b) Il reato di deposito incontrollato di rifiuti. Il deposito temporaneo
Con il secondo motivo di ricorso, la difesa del carrozziere aveva sostanzialmente sostenuto che quello realizzato da costui fosse un deposito temporaneo, che, in quanto tale, impediva che si potessero configurare i reati ambientali contestati all’imputato.
Anche in quest’occasione, la Cassazione è netta nel rispedire al mittente l’affermazione. L’unico elemento significativo, sotto questo specifico profilo, è ciò che è stato rilevato al momento dell’accertamento: un ammasso indistinto di rifiuti poggiati direttamente sul suolo naturale con percolazione dei liquidi oleosi.
Secondo quanto prescrive il TUA10 – continua la Corte – il “deposito temporaneo” di rifiuti, per essere qualificato tale, deve rispettare alcuni requisiti indispensabili tra i quali l’essere “effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute”. Senza quest’ultimo requisito, il deposito non può mai essere definito “temporaneo” (e dunque, lecito), anche se dovessero sussistere le altre condizioni previste dall’articolo di riferimento11.
In sostanza, ai fini della qualificazione del deposito come “temporaneo”, i requisiti previsti dalla normativa in questione devono ricorrere tutti contemporaneamente.12
c) La non punibilità per particolare tenuità del fatto. La non occasionalità del comportamento e l’esercizio dell’attività d’impresa
La Corte prende, infine, in considerazione due ultimi motivi di ricorso: quello relativo al mancato riconoscimento della causa di non punibilità del reato per particolare tenuità del fatto e quella inerente il beneficio della sospensione condizionale della pena, negato nella sentenza di secondo grado.
E anche in questo caso la Suprema Corte sposa totalmente la linea tenuta dalla Corte d’appello.
Quest’ultima aveva escluso la particolare tenuità del fatto in considerazione: a) della reiterazione della condotta; b) della non tenuità del danno all’ambiente; c) della non occasionalità del comportamento posto in essere dall’imputato nell’ambito di un’attività imprenditoriale.
Secondo la Cassazione, questo giudizio è coerente con i fatti accertati e con lo spirito della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Di estrema importanza, è l’ultimo concetto elaborato sul punto della non occasionalità del comportamento: comportamenti come quelli del carrozziere, poiché tenuti nell’esercizio della sua attività professionale, non possono essere qualificati come non occasionali.
d) La sospensione condizionale della pena
Anche sull’ultima questione, relativa alla mancata sospensione condizionale, della pena, la Corte afferma un principio che dovrebbe essere tenuto in grande considerazione: il beneficio della sospensione condizionale della pena è stato negato perché la Corte d’appello ha formulato un giudizio negativo sul fatto che l’imputato avrebbe evitato in futuro di ripetere simili reati. E, dato che in passato il carrozziere aveva già goduto di questo beneficio ed, evidentemente, non lo aveva proprio onorato, la Cassazione ne deduce che non sia il caso di ripetere l’esperienza.
5) Conclusioni e lezioni
Quella in materia di cessazione della qualifica di rifiuto è una disciplina speciale, più precisamente di deroga a quella generale sui rifiuti, un po’ come quella sui sottoprodotti esaminata nell’ultimo articolo, fatte salve le debite differenze.
Una disciplina mossa dall’intento meritorio di introdurre strumenti sempre più organici di economia circolare nel ciclo produttivo di un’azienda.
Questo fa sì che questa normativa sia, di suo, articolata e irta di ostacoli; ma, soprattutto, che l’interpretazione che la Corte di Cassazione riserva alla stessa sia regolarmente di grande rigore.
Al netto di alcune critiche che pure si possono rivolgere alla prima, anche dopo le recenti riforme che l’hanno coinvolta, non si può non prendere atto della seconda, ossia dell’applicazione pratica “rigoristica” di quella legislazione che opera la giurisprudenza, a partire da quella dei tribunali fino alla Suprema Corte.
In particolare, non possono non considerare questo quadro legale gli operatori del settore, per i quali è quindi fondamentale non lasciare la gestione di un ambito così nevralgico della propria attività in ambito ambientale alla fase “terminale” di un processo penale.
La posta in gioco è alta. Una gestione scorretta del procedimento di fine rifiuto può comportare serie conseguenze penali: a partire dai reati di “attività di gestione di rifiuti non autorizzata” e\o di “deposito incontrollato di rifiuti”, come nel caso dell’ormai noto carrozziere.
Illeciti nei quali le conseguenze sanzionatorie sono serie anche e soprattutto perché non riguardano solo le persone fisiche che hanno commesso i reati, ma anche la stessa azienda che viene chiamata a rispondere con il suo patrimonio delle sanzioni pecuniarie e interdittive previste dalla legge sulla cosiddetta responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche.
A meno che la stessa impresa non abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione gestione e controllo finalizzato proprio a minimizzare il rischio di commissione di determinati reati al suo interno (altro tema nevralgico sul quale si tornerà per esteso a breve).
Esattamente come nel caso dei sottoprodotti, e di vari altri reati ambientali relativi all’esercizio d’impresa.
A proposito, se la tua impresa si occupa di end of waste, nei commenti, dimmi qualcosa della tua esperienza aziendale, se ti va. In particolare, fammi sapere quali sono le difficoltà principali che hai incontrato o incontri nella quotidianità di questa esperienza produttiva fondamentale per l’economia circolare; e se hai trovato, intorno alla tua impresa, un ecosistema che, nella sostanza, supporta o, invece, ostacola quell’esperienza.
Mi farà piacere leggerti, e rimanere in contatto con te.
Avv. Stefano Palmisano
Per consulenze e assistenza giudiziale in materia di cessazione della qualifica di rifiuto e, più in generale, di gestione rifiuti e sottoprodotti: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it
1Si tratta della Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti, più precisamente dell’articolo 6.
2Decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 – Norme in materia ambientale, art. 184 ter.
3Questi due ultimi principi, in particolare, sono in cima alla cosiddetta “Gerarchia dei rifiuti” sancita dalla stessa direttiva quadro all’art. 4, che è il caso di riportare integralmente:
Articolo 4 della direttiva 2008/98 – Gerarchia dei rifiuti:
“1. La seguente gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e
e) smaltimento […]”
4Qui un interessante contributo sul tema di Edo Ronchi, ex ministro dell’ambiente e oggi esponente di punta del Circular Economy Network.
5Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 13/02/2020) 16/07/2020, n. 21153
6Previsti, rispettivamente, dall’art. 256, commi 1 e 2, Decreto Legislativo 152\2006 (cosiddetto Testo Unico Ambientale)
7Per la precisione, ai sensi della voce “16 01” dell’allegato D alla parte quarta del Decreto Legislativo n. 3 aprile 2006, n. 152, richiamato dall’art. 184, comma 5, dello stesso decreto.
8 Più precisamente, si tratta del Decreto Legislativo n. 24 giugno 2003, n. 209.
9Ossia, l’art. 184 ter, comma 4, dell’ormai noto Decreto Legislativo n. 152\2006.
10 Per la precisione, l’art. 183, comma 1, lett. bb), del Decreto Legislativo n. 152\2006.
11Sempre l’art. 183, lett. bb).
12E’ il caso di rammentare che qualche mese dopo l’emissione di questa sentenza, la lettera bb) è stata sostituita dall’art. 1, comma 9, lett. h), D.Lgs. 3 settembre 2020, n. 116, Art. 1. – Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 Parte IV Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati – Titolo I Gestione dei rifiuti – Capo I Disposizioni generali. La nuova formulazione della norma è la seguente: «deposito temporaneo prima della raccolta»: il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis
Contatta l’Avvocato
Compila il form per richiedere un parere, una consulenza o informazioni in materia di diritto ambientale e diritto alimentare all’Avvocato Stefano Palmisano. Sarai ricontattato entro 12 ore.