In caso di rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale per l’impianto di produzione di un concime organico azotato, derivato dai fanghi di depurazione in miscela con altri fertilizzanti compatibili, in presenza di inquinanti e in assenza di parametri legali relativi a questi ultimi non si applica la concentrazione soglia di contaminazione (CSC) nel suolo e nel sottosuolo riferita alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare, in quanto relativa “a situazioni ben diverse dalla produzione di fertilizzanti”. Lo ha affermato il Tar Toscana in una sentenza di pochi giorni fa
Indice
Fertilizzanti da fanghi: una storia interessante per l’economia circolare
Un provvedimento di rigetto fondato più su dubbi che su accertamenti
Fertilizzanti da fanghi: la questione spinosa delle CSC di riferimento
Conclusioni
1) Fertilizzanti da fanghi: una storia interessante per l’economia circolare
Un’azienda gestisce la depurazione delle acque civili e industriali del settore del cuoio e conduce da oltre vent’anni sperimentazioni sul fango prodotto dalla suddetta depurazione per verificarne il riutilizzo in agricoltura, in particolare con l’obiettivo di mettere a punto un nuovo prodotto, con caratteristiche di concime organico azotato, derivato dai fanghi di depurazione1 in miscela con altri fertilizzanti compatibili, in grado di esaltarne le proprietà agronomiche.
2) Un provvedimento di rigetto fondato più su dubbi che su accertamenti
L’azienda chiede il rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, di cui è in possesso per l’esercizio dell’attività industriale, che viene negato.
Il provvedimento di diniego viene impugnato innanzi al Tar competente per territorio, che accoglie il ricorso2.
Un primo elemento singolare della vicenda, tra gli altri, è che il provvedimento di rigetto della Regione è fondato essenzialmente su un parere dell’Arpat (Agenzia Regionale di Protezione Ambientale della Toscana) che contiene “più dubbi che accertamenti con un qualche grado di determinazione”3 sulle questioni di merito oggetto della valutazione dell’Agenzia.
Nella sentenza si legge, infatti, che l’Arpat aveva scritto che “le uniche perplessità riguardano i requisiti del prodotto e le conseguenze per l’ambiente”.
Si aggiungeva, però, che gli esiti del monitoraggio “sono in corso di valutazione” e che sarebbero “emerse alcune criticità”.
Scrive il Tar che “par dunque di capire che si tratta di accertamenti non portati a termine e in corso di svolgimento o almeno di valutazione, dai quali sono emerse criticità, che comunque hanno portato, in luogo dell’attesa dell’esito definitivo degli accertamenti stessi e del consolidamento delle criticità, alla immediata adozione di provvedimenti.”
3) Fertilizzanti da fanghi: la questione spinosa delle CSC di riferimento
Il passaggio della sentenza, però, più significativo sotto il profilo del diritto ambientale è quello immediatamente successivo: “peraltro la presenza di inquinanti in concentrazione superiore ai limiti di legge è frutto di un percorso interpretativo non del tutto netto, parlando il parere di ‘vuoto normativo‘, ammettendo che la legge non indica ‘limiti specifici per determinati inquinanti nella disciplina dei fertilizzanti’ e rilevando che ‘la giurisprudenza degli ultimi anni ha richiamato l’obbligo del rispetto delle CSC di colonna A della normativa delle bonifiche’.”
Per queste ragioni, “la censura che rinviene nel parere un significativo tasso di perplessità appare al Collegio convincente, mancando elementi dotati di sufficiente certezza sia in fatto (valutazioni in corso) che di diritto (applicazione di valori soglia che si ammette non essere posti dalla legge ma ricavati da lettura di sentenze della Cassazione penale).”
Vertendosi in materia di fanghi di depurazione, agli addetti ai lavori risulterà subito chiaro quale sia l’orientamento giurisprudenziale in questione della Suprema Corte.
In ogni caso, il Tar riprende la questione nel prosieguo della sua pronuncia, sviscerandola funditus ed enucleando qui il principio di diritto più rilevante dell’arresto.
“… la Regione Toscana fonda il proprio atto sul mancato rispetto dei parametri di concentrazione di cui alla Tabella 1, colonna A, dell’allegato V, al titolo V, parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006. La Regione, e la stessa ARPAT nel parere citato, ammette che non vi sono per gli inquinati presi in esame parametri espressi di legge, ma ritiene che si possa far riferimento alla suddetta Tabella 1, che fissa i valori di “concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare”. La colonna A, in particolare, fa riferimento ai “siti ad uso Verde pubblico e privato e residenziale”. Si tratta di parametri di riferimento che appaiono invero essere riferiti a situazioni ben diverse dalla produzione di fertilizzanti. La Regione fonda l’applicabilità di detti parametri su alcune pronunce della Cassazione penale; ma la giurisprudenza citata (es. Cass. Penale, sez. III, sentenza n. 27958 del 20174) si riferisce allo smaltimento di fanghi di depurazione “nella forma dello spandimento agricolo”; nel caso di specie non siamo affatto in presenza dello spandimento dei fanghi di cui trattasi su terreni agricolo, bensì della produzione di un componente che, assieme ad altri, darà luogo al confezionamento di un fertilizzante […]. Alla luce di ciò non appare convincente che, in assenza di parametri legali, si applichino i valori di CSC riferiti a fattispecie così lontane e diverse da quelle in esame.”
4) Conclusioni
La questione viene, quindi, chiusa dal Tar con una pronuncia di “inapplicabilità per materia”, per così dire, dei principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte in una pronuncia (quella su citata) che ha fatto comunque discutere, in quanto per molti versi “di confine” rispetto a una sorta di interpretazione estensiva, se non proprio analogica, in ambito di diritto penale (più precisamente, di diritto penale ambientale). Perché, a ben vedere, l’applicazione di valori soglia – direttamente rilevanti ai fini dell’affermazione di responsabilità penale – non prevista dalla legge ma affermata in via ermeneutica da un’autorità giudiziaria è operazione sulla cui ortodossia sistemica è lecito discutere, per l’appunto.
Restano le perplessità che suscita un provvedimento di una Regione di rigetto di un riesame AIA fondato su un parere tecnico (com’è quello di Arpat) “che contiene più dubbi che accertamenti con un qualche grado di determinazione”.
Ma, soprattutto, rimane la sensazione di quel “vuoto normativo” – uno tra i tanti, in materia di diritto ambientale – di cui dava atto la stessa Arpat, da colmare.
In modo adeguato.
Possibilmente, in un’aula legislativa e non giudiziaria.
Brindisi, 20\4\2023
Stefano Palmisano
Per consulenze e assistenza legale in materia di rifiuti e di sottoprodotti, e, in generale, di diritto ambientale, scrivimi a: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it
1Di fanghi di depurazione, mi sono occupato su questo blog appena una settimana fa, con riferimento specifico al rapporto tra fanghi e sottoprodotti.
3Così la sentenza in esame.
4“Secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 99/1992, i fanghi ammessi per l’uso agricolo possono essere suddivisi in tre tipologie: 1) civili (sempre ammessi), 2) urbani (ammessi solo se le caratteristiche sono sostanzialmente non diverse da quelle dei fanghi civili) e 3) da altri insediamenti (ammessi solo se assimilabili a quelli civili). Ne consegue che i fanghi di depurazione per le attività agricole devono provenire dalla depurazione di acque reflue e perciò, qualora provengano da impianti industriali, deve comunque trattarsi di reflui assimilabili a quelli civili, con la conseguenza che restano esclusi sia i fanghi di depurazione degli scarichi produttivi “non assimilabili”, sia i fanghi provenienti da impianti diversi da quelli indicati dall’art. 2 D.Lgs. n. 99/1992, sia i residui da processi di potabilizzazione, sia i fanghi residuati da cicli di lavorazione non trattati e quelli non destinati all’agricoltura.” (Cass. pen., Sez. III, 31/01/2017, n. 27958)