I residui di produzione possono essere gestiti non come rifiuti ma come sottoprodotti: per un‘impresa che produce beni è fondamentale saperlo.
Per molte aziende, i residui di lavorazione sono percepiti come rifiuti, un costo inevitabile da sostenere. Ma cosa succederebbe se questi scarti potessero diventare risorse? Se ogni sfrido avesse un valore economico, potrebbe essere utilizzato in altri processi produttivi, generando risparmio e profitti e riducendo l’impatto ambientale.
1. Cos’è un rifiuto? Comprendere la differenza tra rifiuto e sottoprodotto
Il punto di partenza per ogni azienda che desidera gestire meglio i propri residui è comprendere la differenza tra rifiuti e sottoprodotti.
La definizione di rifiuto secondo la normativa italiana è ampia: un rifiuto è qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi. Tuttavia, non tutti i residui devono essere necessariamente classificati come rifiuti.
La chiave per trattare uno scarto di produzione come sottoprodotto è dimostrare che esso possiede tutti i requisiti previsti dalla legge.
Vediamo quindi quali sono le condizioni per cui un residuo di lavorazione, invece che rifiuto, diventa sottoprodotto.
2. Cos’è un sottoprodotto? Come i residui possono diventare risorse
La definizione di sottoprodotto secondo il Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006) stabilisce che per poter considerare un residuo come sottoprodotto devono essere soddisfatte quattro condizioni essenziali:
- Deve essere generato durante un processo produttivo in cui la sua creazione non è lo scopo principale.
- Deve esserci certezza del suo riutilizzo.
- Deve poter essere utilizzato direttamente, senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale.
- Il riutilizzo deve essere legale e non comportare rischi per la salute o l’ambiente.
La corretta applicazione di questi criteri permette alle aziende di evitare i costi di smaltimento dei rifiuti e di valorizzare materiali che altrimenti sarebbero stati trattati come scarti.
3. Come evitare di trasformare un sottoprodotto in un rifiuto
La normativa in materia di sottoprodotti è complessa, ma la sua conoscenza è essenziale per evitare errori che possono portare a pesanti sanzioni, soprattutto di natura penale.
Il Testo Unico Ambientale disciplina le condizioni per la qualificazione degli scarti di produzione come sottoprodotti e stabilisce i requisiti per la loro corretta gestione. Tra questi, uno degli aspetti più importanti è l’onere della prova a carico dell’azienda: deve essere dimostrato, anzitutto con documenti specifici, che i residui prodotti sono sottoprodotti e non rifiuti.
È qui che entra in gioco la scheda tecnica del sottoprodotto. Questo documento svolge un ruolo chiave nel fornire le informazioni necessarie sulle caratteristiche del residuo e sul processo produttivo in cui verrà utilizzato. Questa documentazione dimostra di fatto la conformità del ciclo produttivo e dei residui di produzione alle normative vigenti.
4. L’onere della prova: come documentare la gestione dei sottoprodotti
Per evitare che i residui vengano classificati come rifiuti, è fondamentale documentare con precisione ogni fase della gestione del sottoprodotto.
La normativa prevede che l’azienda debba essere in grado di dimostrare che i residui soddisfano tutte le condizioni previste dalla legge per essere trattati come sottoprodotti.
Insomma, perché il materiale di turno sia considerato un sottoprodotto, deve essere accompagnato da documenti e altre prove che dimostrino la certezza del riutilizzo e la sua idoneità per l’impiego diretto.
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5. Quali sono i criteri per qualificare i residui come sottoprodotti?
Nel 2016, il Ministero dell’Ambiente ha emanato il Decreto Ministeriale n. 264, un atto fondamentale per la gestione dei sottoprodotti.
Questo decreto definisce i criteri specifici che le aziende possono seguire per poter qualificare i residui di produzione come sottoprodotti, anziché come rifiuti.
Pur essendo l’adempimento delle sue norme del tutto facoltativo per gli imprenditori, il DM 264/2016 è una guida operativa preziosa, che offre alle imprese una serie di indicazioni e strumenti operativi per dimostrare la conformità della gestione dei loro residui alle leggi ambientali.
Si pensi, su tutte, alle previsioni – cui si è già accennato sopra – in materia di documentazione contrattuale e scheda tecnica dei sottoprodotti: fondamentali!
Le regole previste dal decreto permettono di creare una base solida, “a prova di controllo”, per evitare sanzioni e garantire che i residui vengano riutilizzati nel rispetto della normativa. Con i benefici per la sicurezza degli operatori e la reddivitità dell’attività produttiva che si possono facilmente immaginare.
6. La distinzione tra materia prima secondaria e sottoprodotto: quali differenze?
Le materie prime secondarie (che oggi, più propriamente, si definiscono “end of waste” o “fine rifiuto”) derivano dal recupero di rifiuti attraverso specifici trattamenti che rendono i relativi materiali nuovamente utilizzabili come prodotto, a tutti gli effetti.
Al contrario, i sottoprodotti non sono mai stati considerati rifiuti e possono essere riutilizzati senza alcuna trasformazione o trattamento.
Questa distinzione non è solo teorica: ha conseguenze pratiche importanti. Ad esempio, la gestione delle materie prime secondarie richiede autorizzazioni specifiche e un articolato processo di recupero, mentre i sottoprodotti, se correttamente gestiti e documentati, non necessitano di autorizzazioni.
7. L’utilizzo diretto del sottoprodotto: il caso delle terre e rocce da scavo
Una delle condizioni fondamentali affinché un residuo possa essere considerato un sottoprodotto è che possa essere riutilizzato direttamente, senza trattamenti diversi dalla normale pratica industriale.
Questo principio è particolarmente rilevante nella gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotto, materiali molto comuni nell’edilizia e nelle opere di ingegneria civile.
Le terre e rocce da scavo, se in possesso di determinati requisiti, possono essere considerate sottoprodotti, evitando così il trattamento come rifiuti e riducendo i costi di gestione.
E’ di fondamentale importanza documentare correttamente il riutilizzo anche delle terre e rocce da scavo, garantendo che vengano gestite nel rispetto della normativa e che l’azienda possa beneficiare dei vantaggi economici e ambientali derivanti dalla loro corretta gestione.
Anche in questo caso, però, è fondamentale il rispetto rigoroso di tutte le condizioni di legge e la costante ed effettiva capacità dell’azienda di provarlo: non si contano più, ormai, le sentenze della Corte di Cassazione di conferma di condanne di imprenditori poco accorti e consapevoli nella gestione dei loro residui di produzione. E il campo specifico delle terre e rocce da scavo è uno dei più “fertili” nella produzione di questa giurisprudenza poco confortante per tanti operatori.
8. I sottoprodotti nella giurisprudenza: storie di gestione poco consapevole
Infatti, non rispettare le regole in materia di sottoprodotti può portare a gravi conseguenze legali, come dimostrano numerosissimi casi giurisprudenziali.
Una questione particolarmente spinosa, per esempio, riguarda il digestato gestito come sottoprodotto, anch’esso più volte finito all’esame della Cassazione.
Anche il digestato può essere considerato sottoprodotto se rispetta determinate condizioni legali, come la certezza del suo utilizzo e la conformità ai requisiti ambientali.
Tuttavia, una gestione impropria può comportare la sua riclassificazione come rifiuto, con esiti legali pesanti, per la libertà personale degli operatori e per il patrimonio delle loro imprese.
9. Digestato e fresato d’asfalto: sottoprodotti o rifiuti?
Come anticipato, il digestato come sottoprodotto rappresenta una tematica particolarmente complessa in materia di economia circolare.
Prodotto dalla digestione anaerobica, il digestato può essere utilizzato come fertilizzante o ammendante nei campi agricoli. Tuttavia, la sua gestione richiede una scrupolosa documentazione per dimostrare che non ha subito trattamenti diversi dalla normale pratica industriale, che il suo utilizzo è certo e, naturalmente, che il suo uso come sottoprodotto non comporterà impatti negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
Anche il fresato come sottoprodotto pone sfide simili. Il fresato d’asfalto è uno dei materiali più comunemente riutilizzati nelle pavimentazioni stradali. Ma, anche in questo caso, affinché possa essere trattato come sottoprodotto, devono essere rispettate le rigorose condizioni previste dalla legge.
Neppure il fresato d’asfalto – è il caso di rimarcarlo – è rimasto immune dal contatto con le aule d’udienza penale, proprio per vicende di gestione scorretta e inconsapevole: in una parola, illegale. E l’esito di quei procedimenti giudiziari ha finito per fare molto male a chi li ha subiti, ossia agli imprenditori e ai dirigenti aziendali di turno, nonché alle loro imprese.
10. L’Unione Europea e i sottoprodotti: verso la simbiosi industriale
Le normative dell’Unione Europea hanno un ruolo chiave nella promozione dei sottoprodotti come elemento centrale dell’economia circolare. Il concetto di simbiosi industriale, ovvero la collaborazione tra aziende per riutilizzare i sottoprodotti nei rispettivi processi produttivi, è un principio cardine delle politiche ambientali europee.
Il quadro normativo europeo supporta la gestione dei sottoprodotti, in particolare per materiali come quelli citati sopra: dalle terre e rocce da scavo al digestato allo stesso fresato d’asfalto.
L’obiettivo dichiarato delle direttive europee in questo campo – è il caso di ribadirlo – è quello di incoraggiare le aziende a collaborare tra loro per ridurre gli sprechi, ottimizzare l’uso delle risorse ed evitare l’estrazione di nuova materia prima vergine, creando una rete di produzione più sostenibile ed efficiente. Perché qui si gioca la partita più importante dell’economia circolare, nel vivo della pratica aziendale.
11. Le Regioni e la gestione dei sottoprodotti: cosa cambia a livello locale
Oltre alle normative nazionali ed europee, ogni Regione italiana può adottare regolamentazioni specifiche in materia di gestione dei sottoprodotti. Queste differenze regionali possono influenzare profondamente le modalità operative delle aziende. Le normative regionali, infatti, possono incidere sulla gestione di sottoprodotti di particolare rilievo, come quelli della vinificazione, dei residui di manutenzione del verde e di altri materiali.
Anche se è bene evidenziare che, in alcuni casi, le normative regionali risultano difficilmente compatibili con quelle nazionali ed europee, per non dire con le sentenze della Corte di Cassazione; con tutti i rischi per gli imprenditori che dovessero seguire quelle regole regionali che questo comporta. Infatti, quando si verifica una situazione di contrasto tra una normativa regionale e una nazionale o, addirittura, comunitaria, quella che fa un passo indietro non può che essere la prima.
E’ il caso solo di rammentare, in tal senso, la recente normativa della Regione Lombardia in materia di residui di manutenzione del verde.
Ancora, alcune Regioni offrono incentivi economici per le imprese che adottano pratiche virtuose nella gestione dei sottoprodotti, mentre altre hanno regole più stringenti per garantire la tutela ambientale. Comprendere queste differenze è fondamentale per ottimizzare la gestione aziendale e sfruttare tutte le opportunità che mettono in campo le regolamentazioni regionali.
In tal senso, per gli operatori, il primo passo da fare è acquisire le informazioni necessarie, obiettivo che si può raggiungere in vari modi: consultando il bollettino delle leggi ed atti regionali, di solito contenuto sul sito web della regione di turno; inviando una mail all’assessorato di riferimento; contattando le associazioni di categoria; interpellando un consulente legale ambientale qualificato.
12. La prassi amministrativa: interagire con le istituzioni per la gestione dei sottoprodotti
La gestione dei sottoprodotti non si limita alla conformità con le leggi; richiede anche un’interazione costante con gli enti locali e nazionali.
In questo senso, diventa determinante la capacità di gestire le relazioni con le autorità competenti, garantendo che ogni fase della gestione dei residui sia correttamente documentata e conforme alle normative.
Per fare un esempio concreto, la prassi amministrativa gioca un ruolo chiave nella gestione di sottoprodotti come i fanghi da depurazione, oggetto poco tempo fa di un importante parere del Ministero dell’ambiente in risposta a un interpello di una provincia.
Il rapporto con gli enti di controllo, la predisposizione della documentazione necessaria e la tempestiva risposta alle richieste istituzionali possono fare la differenza tra una gestione corretta e una pesante sanzione.
13. Conclusioni: cinque regole d’oro per una gestione sicura e redditizia dei sottoprodotti
Per concludere questa introduzione alla gestione consapevole e proficua dei sottoprodotti, può essere decisamente utile seguire in azienda queste vere e proprie regole di sicurezza, per gli imprenditori, i dirigenti d’impresa e le stesse strutture aziendali:
- ACCOUNTABILITY: non autorizzazioni ma documentazione adeguata a supporto della gestione conforme
- METODOLOGIE: adottare solo quelle previste dal DM 264
- AVVERTENZA: mai gestire come sottoprodotto lo stesso materiale che è già stato gestito come rifiuto
- COMPLETEZZA DELLA DOCUMENTAZIONE: redigere e conservare sempre documentazione contrattuale e scheda tecnica
IN CASO DI “TRATTAMENTI” SUL SOTTOPRODOTTO, effettuarli sempre nel ciclo originario di produzione
Una puntualizzazione finale: una corretta gestione dei sottoprodotti non solo aiuta a evitare sanzioni legali, ma può anche migliorare l’immagine aziendale e generare nuovi flussi di entrate.
Che si stiano gestendo terre e rocce da scavo, digestato o fresato d’asfalto come sottoprodotto, applicare queste regole consentirà alle imprese di affrontare con successo le sfide della competitività e della transizione verso un’economia più circolare e sostenibile.
Brindisi, 31\10\2024
Avv. Stefano Palmisano