Abstract
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito le differenze tra il delitto di omessa bonifica e la contravvenzione di inadempimento dell’ordinanza di rimozione rifiuti. Il tema è centrale per tutti coloro che si ritrovano a dover gestire siti potenzialmente inquinati, a partire dalle imprese, poiché la corretta qualificazione giuridica di tali comportamenti può comportare conseguenze legali e sanzionatorie molto diverse. In questo articolo analizziamo le implicazioni pratiche di queste differenze per persone e aziende.
Indice
Omessa bonifica e inadempimento dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti: quadro normativo
Omessa bonifica e inadempimento dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti: differenze chiave
Storia di Gennaro e di un’ordinanza sindacale non adempiuta
Conclusioni
1. Omessa bonifica e inadempimento dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti: quadro normativo
Il cosiddetto Testo Unico Ambientale – TUA (D.Lgs. 152/2006), alla sua parte IV, prevede una serie di stringenti obblighi per la corretta gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati.
Due disposizioni particolarmente rilevanti – e vicine tra loro – in questo ambito sono l’art. 452-terdecies del codice penale, che sanziona l’omessa bonifica, e l’articolo 255, c. 3, del citato TUA che disciplina l’inadempimento dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti1, reato di natura contravvenzionale di solito collegato a un altro reato della stessa natura: l’abbandono di rifiuti.
La distinzione tra i due reati è fondamentale, poiché comportano sanzioni e implicazioni assai diverse per i diretti interessati.
2. Omessa bonifica e inadempimento dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti: differenze chiave
Sebbene entrambe le disposizioni si fondino, nella sostanza, su un principio comune – evitare il danno ambientale e garantire il ripristino dei siti contaminati – la Cassazione2 ha recentemente sottolineato come le due fattispecie mantengano una loro distinzione giuridica e autonomia operativa.
- Omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.): è un delitto e si verifica quando, in presenza di una potenziale o effettiva contaminazione, il responsabile non esegue gli interventi di bonifica imposti da un’autorità pubblica. Questo reato richiede la presenza di una situazione di rischio per l’ambiente che richiede un’azione di bonifica.
- Inadempimento dell’ordinanza sindacale di rimozione rifiuti (art. 255, c. 3, D.Lgs. 152/2006): è una contravvenzione e riguarda invece la mancata rimozione dei rifiuti abbandonati, senza che sia necessario dimostrare un effettivo pericolo di inquinamento. Qui l’ordinanza del sindaco per la rimozione dei rifiuti è l’elemento centrale, e l’inadempimento può essere punito anche se non c’è un rischio per l’ambiente.
La Cassazione, nella sentenza in questione, ha sottolineato che l’omessa bonifica presuppone una condotta potenzialmente inquinante, mentre la contravvenzione del TUA è integrata dalla mera inosservanza delle disposizioni dell’autorità locale.
Il principio di diritto che ha elaborato la Suprema Corte nel caso in questione è della massima importanza e merita di essere illustrato in modo approfondito per le sue conseguenze pratiche sulle persone imputate.
Gli artt. 452-terdecies cod. pen. e 255, comma 3, TUA contengono disposizioni ispirate alla medesima logica: quella di sanzionare comportamenti omissivi tenuti in presenza di (e nonostante) un obbligo avente ad oggetto attività di recupero e di ripristino e, nel solo caso del delitto previsto dal codice penale, anche di bonifica. Obblighi derivanti da precedenti comportamenti lesivi – o potenzialmente lesivi – del bene tutelato, quale l’integrità dell’ambiente.
Il contenuto di questi obblighi, peraltro, sembra indicato in termini comuni proprio dal TUA, così che per ripristino e ripristino ambientale debbono intendersi gli interventi di riqualificazione ambientale e paesaggistica, anche costituenti complemento degli interventi di bonifica o messa in sicurezza permanente, che consentono di recuperare il sito alla effettiva e definitiva fruibilità per la destinazione d’uso conforme agli strumenti urbanistici (art. 240, lett. q). Per bonifica, invece, deve intendersi l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) (art. 240, lett. p).
Nonostante la comune identità ispiratrice, che si traduce in una evidente vicinanza di lessico, ciascuna delle due disposizioni mantiene tuttavia un proprio spazio operativo, che ne giustifica l’autonoma previsione normativa, anche con riguardo alla differente qualifica formale e, di conseguenza, alle sanzioni previste per i condannati.
In breve, l’art. 452-terdecies cod. pen. richiede “a monte” una condotta che presenta comunque un elemento aggiuntivo e caratterizzante, che ne accresce il rilevo penale, ossia una potenzialità inquinante che impone l’adozione delle procedure di cui agli artt. 239 ss., d. lgs. n. 152 del 2006, ossia di una bonifica. Ciò si ricava dalla specifica lettera della rubrica – Omessa bonifica – e dalla collocazione della norma tra i delitti contro l’ambiente.
3. Storia di Gennaro e di un’ordinanza sindacale non adempiuta
Nel caso in esame, l’imputato, che potremmo chiamare Gennaro, aveva ricevuto un‘ordinanza del sindaco per la rimozione di rifiuti, ma non l’aveva adempiuta.
Per questo, in primo e secondo grado di giudizio, era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 452-terdecies cod. pen. e condannato alla pena di tre anni di reclusione e 50mila euro di multa.
Gennaro impugnava la sua condanna innanzi alla Corte di Cassazione.
La Corte accoglie il suo ricorso.
Il presupposto da cui partivano entrambe le sentenze di merito – spiegano i Giudici del “Palazzaccio – era quello per cui al ricorrente fosse stata contestata un’omessa bonifica in violazione di un’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 192, comma 3, citato.
La lettura del provvedimento, invece, sembra evidenziare che l’imputato fosse risultato destinatario di un provvedimento – a lui rivolto quale “conduttore del deposito incontrollato di rifiuti” – nel quale era esplicitata la necessità del ripristino dello stato dei luoghi, “liberando le aree da tutti i rifiuti presenti ed avviarli al recupero o allo smaltimento secondo la loro natura e nel rispetto della normativa vigente, e che tali operazioni vengano precedute da un piano preliminare di indagini chimiche del suolo e del sottosuolo, finalizzato alla ricerca di eventuali sostanze inquinanti nelle matrici ambientali”.
Senza alcun riferimento, dunque, ad attività di bonifica.
La stessa ordinanza, peraltro – prosegue la Suprema Corte – era stata emessa proprio ai sensi dell’art. 192, d. lgs. n. 152 del 2006, con espresso richiamo anche all’art. 255, per il caso di sua violazione: il mancato riscontro, alla data del provvedimento, di un evento potenzialmente in grado di inquinare il sito, pertanto, sembra aver giustificato l’adozione di un’ordinanza priva di ogni riferimento alla bonifica (ed attività correlate), la cui riscontrata inottemperanza dovrebbe quindi esser sanzionata a norma dell’art. 255, comma 3, d. lgs. n. 152 del 2006 e non ai sensi della norma contestata.
La Cassazione quindi, dispone l’annullamento con rinvio della sentenza, affinché la Corte di appello valuti correttamente gli obblighi imposti a Gennaro e le condotte ad essi precedenti, nell’ottica della corretta qualificazione giuridica dei fatti.
La Corte, peraltro, non manca di fornire una importante precisazione in ordine al reato effettivamente commesso da Gennaro, ossia quello di mancata ottemperanza all’ordine sindacale di rimozione dei rifiuti, di cui all’ art. 255, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152: esso ha natura di reato permanente, nel quale la scadenza del termine per l’adempimento non indica il momento di esaurimento della fattispecie, bensì l’inizio della fase di consumazione che si protrae sino all’ottemperanza all’ordine ricevuto.
4. Conclusioni
I reati finalizzati a sanzionare l’omissione di obblighi aventi ad oggetto attività, lato sensu, riparatorie – a loro volte conseguenti a condotte di abbandono rifiuti o sversamento di sostanze inquinamenti – si confermano un potenziale intrico normativo dal quale può risultare arduo venir fuori “integri”: questo vale per gli imputati e per la vittima del reato, ossia l’ambiente.
Si pensi, infatti, che in questo ambito, oltre alle due figure di reato a base della sentenza esaminata, ve ne è un’altra, potenzialmente utilizzabile, pur con caratteristiche ed elementi di struttura ancora diversi rispetto alle prime due: l’altra omessa bonifica, la farraginosa e quasi inapplicabile contravvenzione prevista dall’art. 257 TUA3.
Giusto per completare un quadro normativo di tutela penale ambientale che, ancora una volta, non brilla per chiarezza, essenzialità ed efficacia.
In questo senso, una sentenza come quella illustrata è un punto di riferimento da tenere nell’adeguata considerazione per chiunque, in qualunque ruolo processuale, si trovasse a vivere un’inebriante esperienza di vita come un processo penale tipo quello definito da questa pronuncia della Suprema Corte.
27\9\2024
Avv. Stefano Palmisano
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1A sua volta, disciplinata dall’art. 192 TUA
2Cass. Sez. III n. 32117 del 7 agosto 2024
31. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila euro. 1595 1597
2. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose. 1597
3. Nella sentenza di condanna per la contravvenzione di cui ai commi 1 e 2, o nella sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di emergenza, bonifica e ripristino ambientale.
4. L’osservanza dei progetti approvati ai sensi degli articoli 242 e seguenti costituisce condizione di non punibilità per le contravvenzioni ambientali contemplate da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1. (ART. 257, D. L.vo 152\2006 – Bonifica dei siti)
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