Avvocato Stefano Palmisano

Diritto per i cittadini e aziende

La semplificazione è un valore in sé nell’azione amministrativa; anche e soprattutto perché bisogna riconoscere l’importanza centrale del fattore tempo nella programmazione finanziaria del privato e per il raggiungimento dell’obiettivo della competitività del sistema Paese. Questo vale anche e soprattutto nella nevralgica materia del rapporto tra produzione di energia da fonti rinnovabili e tutela del paesaggio. E’ il fondamentale principio di diritto affermato dal Consiglio di Stato a conclusione di una tortuosa, e per certi versi surreale, vicenda processuale relativa all’installazione di un impianto di energia eolica in Puglia. Nella stessa sentenza i Giudici di Palazzo Spada hanno sancito un altro nodale assunto giuridico che deve guidare la soluzione di questioni come quella in esame: l’attenuazione della valenza assolutizzante della tutela del paesaggio, che deve essere sottoposta a bilanciamento in concreto con altri valori e principi, quale quello della salvaguardia dell’ambiente. Principio cruciale anche e soprattutto perché riconosce, con tutta l’autorevolezza della fonte, che tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente possono non coincidere; di più, possono entrare in conflitto, almeno in alcuni casi. E la prima non gode più di alcun privilegio a priori sulla seconda; in particolare, dopo la riforma dell’art. 9 della Costituzione.

Indice

1) Fonti rinnovabili e paesaggio: la storia

2) Fonti rinnovabili e paesaggio: Occam, questo sconosciuto

3) Il Consiglio di Stato spiega la semplificazione: è un valore finale

4) Fonti rinnovabili e paesaggio: il bilanciamento necessario e in concreto

5) La transizione sempre ostaggio della tradizione? Forse, può bastare!

1) Fonti rinnovabili e paesaggio: la storia

Ancora cattive notizie dalla Giustizia Amministrativa per i sostenitori del paesaggismo inquinante. Le novità, in particolare, arrivano dal Supremo Consesso della giurisdizione amministrativa, ossia dal Consiglio di Stato1.

Vediamo la storia e la lezione che se ne può ricavare.

Una società presenta alla Provincia di Foggia un’istanza per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) per la costruzione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica in un comune della provincia.

Viene attivato il relativo procedimento, che comprende anche due riunioni della Commissione Paesaggio e quattro sedute della conferenza di servizi.

Alla conclusione dei lavori della conferenza, l’impresa ottiene la dichiarazione del RUP (Responsabile Unico del Procedimento) circa l’avvenuta conclusione dei lavori della conferenza con la “pronuncia ambientale favorevole della Provincia“.

L’azienda riceve l’assenso alla realizzazione del suo progetto da tutte le Amministrazione coinvolte nel procedimento, ad eccezione della Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Barletta – Andria – Trani e Foggia, il cui parere, obbligatorio ma non vincolante per impianti destinati ad essere realizzati su aree non soggette a particolari vincoli, era considerato dal RUP superabile “sulla base dei contributi istruttori ricevuti dalla Commissione Paesaggio e dal Comitato VIA”.

Grazie all’esito favorevole della conferenza di servizi, l’azienda acquisisce anche, dalla Regione Puglia, l’autorizzazione unica (A.U.) ex art. 12 D.Lgs. n. 387 del 2003, con la dichiarazione del suo progetto di impianto eolico quale opera di pubblica utilità indifferibile ed urgente.

 

2) Fonti rinnovabili e paesaggio: Occam, questo sconosciuto

A questo punto, accade l’imprevisto. A conclusione dello stesso procedimento PAUR, la Provincia di Foggia, invece di prendere atto dei risultati positivi della conferenza ed emettere il provvedimento finale positivo, finisce per attivare, in maniera del tutto inopinata (spoiler: e illegittima), un altro, distinto, procedimento di autorizzazione paesaggistica, nel quale viene coinvolta, di nuovo (spoiler: e in maniera illegittima), con un’altra (e illegittima) richiesta di parere, l’immancabile Soprintendenza, che ovviamente non si fa pregare.

Si tratta, con ogni evidenza, di una peculiarissima interpretazione da parte della Provincia di Foggia del celeberrimo principio del “rasoio di Occam”, quello per il quale gli enti (e i procedimenti), non vanno moltiplicati senza una reale necessità. Che è poi l’ABC di ogni principio di semplificazione amministrativa.

Come che sia, il nuovo, immotivato (e illegittimo), procedimento si conclude – chi l’avrebbe mai detto?! – negativamente con una determina provinciale, adottata anche alla luce del nuovo parere sfavorevole – ça va sans dire – della Soprintendenza, condiviso dalla Commissione Paesaggio della Provincia di Foggia.

La scontata conclusione di questa coazione a ripetere sotto mentite spoglie di procedimento amministrativo è l’emissione da parte della Provincia del provvedimento di diniego di PAUR. Vicenda bizzarra, lo si sarà colto anche senza conoscere l’esito finale del relativo giudizio amministrativo; ma oltremodo illuminante di radicate dinamiche degenerative che connotano l’agire di determinate Pubbliche Amministrazioni in materia di fonti di energia rinnovabili.

L’azienda, quindi, impugna il provvedimento innanzi al T.a.r. per la Puglia, che, in maniera ancor più singolare, rigetta il ricorso.

L’appello contro la relativa sentenza innanzi al Consiglio di Stato, da parte della stessa impresa, è, a questo punto, inevitabile.

 

3) Il Consiglio di Stato spiega la semplificazione: è un valore finale

E qui è il caso di riportare subito, per esteso, la parte più significativa della pronuncia con cui il massimo Organo della Giustizia Amministrativa italiana ha accolto il ricorso dell’azienda, riformato la sentenza appellata e, di conseguenza, spazzato il campo dai provvedimenti amministrativi che abbiamo descritto sopra.

Il Consiglio, in particolare, ha sancito la trasformazione del ruolo della semplificazione2, da valore strumentale (ossia come principio generale da collegare all’esigenza di migliorare l’efficienza amministrativa nel valutare tutti gli interessi che si confrontano nel procedimento e di aumentare l’efficacia nella cura degli interessi pubblici, al contempo garantendo una più agevole tutela delle pretese del cittadino) a bene o valore di natura finale, autonomo rispetto agli specifici interessi curati dalle amministrazioni competenti al rilascio di assensi comunque denominati.

Traduzione: la semplificazione diventa, finalmente, una cosa seria, specie in materia di transizione ecologica e, quindi, di tutela ambientale.

Per usare un lessico più consono al contesto, la semplificazione sale nella scala assiologica del diritto amministrativo da valore strumentale a valore di natura finale. Non più un mero principio generale – o, peggio, generico – che gravita nell’orbita della più ampia esigenza di efficienza nella funzione tipica dell’agire amministrativo, ossia il perseguimento dell’interesse pubblico con una qual forma di tutela degli interessi privati contrapposti; ma un bene giuridico autonomo, e, quindi, potenzialmente antagonista con lo stesso, “ufficiale”, interesse pubblico curato dall’ente pubblico in questione.

E’ una posizione forte, quella del Consiglio di Stato, e, in quanto tale, potenzialmente foriera di effetti collaterali e rischi per gli interessi pubblici.

Ma, a ben pensarci, è una posizione che prende solo atto di uno stato di fatto che, già oggi, costituisce una fonte non già di rischio, ma proprio di danno, acclarato e grave, per l’interesse pubblico: la frammentazione e la sovrapposizione delle competenze tra pubbliche amministrazioni; l’autoreferenzialità patologica di qualche ente in particolare; la conseguente superfetazione di pareri, atti, provvedimenti, procedimenti intorno alla stessa questione; infine, la logica conclusione di questo ameno scenario: una giungla burocratica che non ha niente a che vedere con la cura degli interessi pubblici di un Paese civile del terzo millennnio. Una giungla nella quale, alla fine, l’unico interesse realmente garantito è quello del più forte. Come in ogni giungla che si rispetti.

In un contesto del genere, dunque, è difficile contestare seriamente quell’assunto del Consiglio di Stato: la semplificazione, il pur parziale sfoltimento di quella giungla, non può non essere considerata un valore in sé; di più, un interesse pubblico.

 

4) Fonti rinnovabili e paesaggio: il bilanciamento necessario e in concreto

E’, infine, il caso di rimarcare un ultimo passaggio della pronuncia del Consiglio di Stato, strettamente relativa al rapporto tra produzione di energia da fonti rinnovabili e tutela del paesaggio. Un rapporto segnato a lungo da un assunto di fondo: la tutela dell’ambiente passa per la tutela del paesaggio. Ergo, il valore di riferimento, in particolare di natura costituzionale, restava quest’ultima; anche sulla scorta di quella che, fino al febbraio 2022, era la lettera dell’articolo 9 della Carta.

Ma oggi non è più così.

Anzitutto, sotto lo stesso profilo del testo della Costituzione, alla luce della novella di poco più di due anni fa, la Repubblica non ha più solo l’obbligo della tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Ha anche il distinto obbligo di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.

E’ facilmente intuibile che, se il legislatore ha ritenuto necessario inserire all’interno dello stesso articolo costituzionale un distinto principio giuridico, anzi un diverso obbligo gravante su tutte le istituzioni della Repubblica – quello alla tutela dell’ambiente – questo non potrà essere identificato e confuso con il vecchio principio di tutela relativo al paesaggio.

Si tratta, oltre ogni ragionevole dubbio, di due diversi beni giuridici di pari rango costituzionale, che in quanto tali dovranno essere sottoposti a un bilanciamento, in concreto. Una tra le prime conseguenze che postula quest’impostazione è più difficile da ammettere pubblicamente che da intuire: quel bilanciamento, in alcuni casi, potrà non essere più possibile oltre un certo punto. Ergo dovrà cedere il passo a una scelta di priorità, a una individuazione del bene meritevole di maggiore tutela nel caso concreto, tra il paesaggio e l’ambiente.

Su questo punto specifico è intervenuta, ancora una volta con grande lucidità e nettezza, la sentenza in esame, che ha sancito, senza mezzi termini, la necessità della attenuazione della valenza assolutizzante del paesaggio.

Insomma, la posizione del Consiglio di Stato è solare: basta privilegi a priori al paesaggio, alla tradizione, sopra e contro le esigenze di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi. Anche nell’interesse delle future generazioni!

 

5) La transizione sempre ostaggio della tradizione? Forse, può bastare!

Ancora una volta, è un’Autorità Giudiziaria Amministrativa, in particolare la massima A.G.A., a riportare legalità e razionalità, per non dire sostenibilità, in una vicenda nella quale alcune Pubbliche Amministrazioni hanno messo in scena una rappresentazione sulla quale la reazione più elegante e assennata è far calare un telo pietoso.

Questo è rincuorante, da un lato: perché vuol dire che almeno alcune delle Supreme Magistrature del Paese sono consapevoli della posta in gioco: sotto il profilo delle priorità tra beni giuridici e, a tutti gli effetti, planetari.

D’altro canto, però, questo significa che, con alcune Pubbliche Amministrazioni di questo Stato abbiamo un problema3; continuiamo ad avere un serio problema.

Un problema di legalità \ legittimità dell’azione amministrativa, sotto il profilo di osservanza delle leggi della Repubblica – a partire da quelle in materia di semplificazione, per l’appunto – ma, ancor prima, di rispetto dei principi costituzionali, come quelli contenuti nel nuovo articolo 9, per l’appunto.

Ma, prim’ancora, un problema di consapevolezza di quelle stesse P.A.: delle emergenze climatiche e ambientali epocali che viviamo noi e, soprattutto, che vivranno coloro che verranno dopo di noi; degli obblighi internazionali del Paese e individuali di ognuno di noi, che derivano da quelle emergenze; dell’importanza centrale del fattore tempo nella programmazione finanziaria del privato e per il raggiungimento dell’obiettivo della competitività del sistema Paese, per dirla con le stesse parole del Consiglio di Stato.

Di fronte a quella massa di questioni, planetarie e quotidiane, ambientali ed economiche, il riflesso pavloviano degli arcigni custodi della tradizione, degli autonominatisi sacerdoti del bello paesaggistico è sempre lo stesso: avvolti nella loro nuvoletta di grazia fuori dal tempo e dallo spazio, essi rigettano sdegnati, a priori, l’idea stessa di cambiamento, di evoluzione del paesaggio.

Con buona pace della stessa Convenzione europea del paesaggio, per la quale “il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all’attività economica, e che, se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, può contribuire alla creazione di posti di lavoro”; e ancora “le evoluzioni delle tecniche di produzione agricola, forestale, industriale e pianificazione mineraria e delle prassi in materia di pianificazione territoriale, urbanistica, trasporti, reti, turismo e svaghi e, più generalmente, i cambiamenti economici mondiali continuano, in molti casi, ad accelerare le trasformazioni dei paesaggi…”

Fino a quando la transizione, ecologica e civile, di questo Paese dovrà essere ostaggio della tradizione?

27\8\2024

Stefano Palmisano

Pubblicato su Start Magazine del 20\7\2024

1Consiglio di Stato – Sezione IV: Sentenza 29 maggio 2024, n. 4818

2Di semplificazione in materia di impianti di energia rinnovabile mi sono occupato, su questo blog, qui: https://www.avvstefanopalmisano.it/il-decreto-energia-la-semplificazione-per-le-energie-rinnovabili-e-lideale-dellostrica-la-tradizione-o-la-transizione/

3https://www.startmag.it/energia/soprintendenze-impianti-rinnovabili/?_gl=1*1ux5sf2*_up*MQ..*_ga*MjEwNjU2NjQxMS4xNzIxMjA2ODI2*_ga_8S195KFTFD*MTcyMTIwNjgyNi4xLjAuMTcyMTIwNjgyNi4wLjAuMA..

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