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Normativa sottoprodotti: due sentenze indicano la gestione corretta

Decidendo in due procedimenti penali, la Cassazione ribadisce le differenze fondamentali tra la nozione di rifiuto e quella di sottoprodotto. E le conseguenze che ne derivano: specie in materia di onere della prova. Per gli operatori che gestiscono queste sostanze può essere una lettura utile.

Indice

  1. I sottoprodotti

  2. La prima sentenza della Cassazione: la nozione di rifiuto. Il caso dell’autodemolitore

a) il fatto

b) la difesa dell’imputato

c) la decisione della Corte

  1. La seconda sentenza della Cassazione: l’onere della prova. Il caso del fabbro

a) il fatto

b) la difesa dell’imputato

c) la decisione della Corte

  1. Gli insegnamenti per gli addetti ai lavori

1) I sottoprodotti

Sono residui di un ciclo di produzione che, a precise condizioni, non sono destinati a diventare rifiuti e quindi avviati a smaltimento, bensì sono suscettibili di riutilizzo, nello stesso o in altro circuito di produzione.

In quanto tali, i sottoprodotti sono uno strumento dell’economia circolare. Più precisamente, costituiscono un istituto fondamentale della normativa che disciplina e tende a promuovere questo nuovo modello economico, di suo già in crescita significativa.

Essi, infatti, rappresentano una concreta applicazione di un caposaldo del sistema di produzione circolare: la riduzione dei rifiuti a mezzo di prevenzione degli stessi. Principio che, peraltro, costituisce il primo degli obiettivi nella corretta gestione dei rifiuti stessi secondo la normativa dell’Unione Europea.

La relativa regolamentazione si trova essenzialmente nel cosiddetto Testo Unico Ambientale, ossia il Decreto Legislativo n. 152\2006.

Ce ne siamo occupati in questo post1.

Oltre che far conseguire obiettivi di enorme importanza per la tutela ambientale, peraltro, i sottoprodotti possono ben integrare anche fonte di grande vantaggio economico per le aziende, dato che essi costituiscono alternative legali alla produzione di rifiuti nei vari cicli di produzione, con tutti i benefici che questo comporta per le imprese stesse anzitutto in termini di risparmio di costi per il corretto smaltimento dei rifiuti; in seconda battuta, di veri e propri profitti ulteriori derivanti dalla riutilizzazione o dalla commercializzazione di questi scarti di produzione destinati a una seconda vita produttiva invece che alla discarica. In ogni caso, i sottoprodotti sostituiscono le corrispondenti materie prime vergini: con un significativo risparmio, anche in questo caso, di risorse: per l’ambiente e per l’azienda.

In questo senso, queste sostanze rappresentano un limpido esempio delle virtù integrate di sostenibilità ambientale e produttività economica dell’economia circolare.

2) La prima sentenza della Cassazione: la nozione di rifiuto. Il caso dell’autodemolitore

I sottoprodotti si confermano una materia di particolare attualità in ambito normativo, date le importanti riforme che lo stanno interessando proprio questi giorni (sulle quali torneremo a breve); nonché un tema caldo in ambito giurisprudenziale.

Di recente, infatti, la Corte di Cassazione è tornata a occuparsi due volte in pochi giorni di questa materia; più precisamente, del rapporto tra sottoprodotti e rifiuti, rimarcando nuovamente i criteri distintivi e le linee di confine tra le due figure disciplinate dal cosiddetto Testo Unico Ambientale (Decreto Legislativo n. 152\2006).

a) il fatto

Nella prima vicenda2, il legale rappresentante di un’autodemolizione era stato condannato in primo e secondo grado per i reati di “attività di gestione di rifiuti pericolosi non autorizzata” e “deposito incontrollato di rifiuti3.

L’accusa all’imprenditore era quella di aver gestito di fatto un’attività di autodemolizione senza alcuna autorizzazione, depositando presso la sede della società diverse decine di veicoli a motore, anche accatastati l’uno sull’altro, in stato di abbandono perché privi di parti interne, meccaniche ed elettriche ed in pessimo stato di conservazione. Nello stesso posto aveva, inoltre, depositato, su area non pavimentata né impermeabilizzata, rifiuti speciali anche pericolosi, come pneumatici usati, pezzi di veicoli, radiatori dell’olio e dell’aria condizionata, bombole, parti elettriche, batterie. L’imputato ha, quindi, proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di condanna della Corte di appello.

b) la difesa dell’imputato

Il motivo di ricorso più significativo ai fini di questo articolo è certamente il primo.

Secondo l’autodemolitore, le autovetture e i pezzi ad esse ricollegati, rinvenuti presso la sede dell’impresa, non sarebbero stati da considerarsi rifiuti, bensì sottoprodotti vendibili. E questo proprio in virtù del fatto che l’imputato svolgeva l’attività di commercio all’ingrosso di veicoli usati, e, conseguentemente, non vi sarebbe stata necessità di alcuna specifica autorizzazione.

E’ il caso di rammentare qui che, effettivamente, rispetto a quella dei rifiuti la gestione dei sottoprodotti non necessita di alcuna preventiva autorizzazione. Ma, come emergerà chiaramente nel prosieguo, questo non vuol dire certo che i sottoprodotti siano privi di regole, anche assai stringenti.

c) la decisione della Corte

La Cassazione, esaminando il motivo di ricorso dell’imputato riportato sopra, parte dalla nozione di rifiuto sancita dal Testo Unico Ambientale: per “rifiuto” si intende “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi4.

I giudici del Palazzaccio proseguono ricordando di aver già chiarito, in precedenti pronunce, che sostanze e materiali venuti fuori come residui da un ciclo di produzione aziendale acquistano la qualità di rifiuto a due condizioni: il fatto che si tratti di beni residuo di produzione di cui il detentore vuole disfarsi e che essi non abbiano i requisiti del sottoprodotto.

Una volta acquisita, questa qualità non viene meno a causa di un accordo di cessione a terzi, né del valore economico dei beni stessi riconosciuto nel medesimo accordo: l’elemento discriminante, per la Suprema Corte è la condotta e volontà del produttore del residuo di disfarsi di quest’ultimo, non l’utilità che potrebbe ricavarne l’eventuale acquirente.

Nel caso in questione, prosegue la sentenza, la natura di “rifiuti”, e non di sottoprodotti, degli oggetti trovati presso l’autodemolizione è ricavabile dalla quantità, dalle condizioni e dalle modalità di custodia dei beni, ossia veicoli semidistrutti e completamente inutilizzati, pezzi di veicoli del tutto inservibili, tra cui oggetti da qualificarsi come pericolosi – quali batterie, parti elettriche, pneumatici, contenitori di oli – il tutto in stato di abbandono, senza alcuna protezione ed esposto alle intemperie.

La maggior parte di tali beni – affermano i Giudici di Piazza Cavour – per le condizioni in cui si trovavano, non potevano essere oggetto di vendita, e, quand’anche fossero stati in origine “sottoprodotti”, avevano perso tale qualifica diventando, a tutti gli affetti, “rifiuti”. Qualità, quest’ultima, che non viene meno per il solo fatto che l’autodemolitore abbia acquisito detti beni con l’intenzione di rivenderli, essendo indifferente l’utilità che avrebbe potuto trarne l’acquirente, come si accennava sopra.

Per tutti questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato e conferma la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’appello.

3) La seconda sentenza della Cassazione: l’onere della prova. Il caso del fabbro

a) il fatto

Nel secondo procedimento5, la Suprema Corte è stata chiamata a occuparsi del caso di un imprenditore condannato6 perché, abbandonava rifiuti speciali non pericolosi, tra cui rottami ferrosi, ceneri derivanti da combustione, una batteria esausta per muletto e imballaggi metallici, per un totale di 820 chilogrammi, nell’area adiacente al capannone all’interno del quale veniva svolta l’attività di impresa.

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione contro la sua condanna.

b) la difesa dell’imputato

Anche in questo caso il più rilevante motivo di ricorso era fondato sulla contrapposizione rifiuti – sottoprodotti. Più precisamente, secondo la difesa del fabbro i materiali ferrosi rinvenuti dalla Guardia di Finanza sarebbero stati riconducibili alla categoria non dei rifiuti, ma dei sottoprodotti, essendo destinati al mercato del recupero dei rottami ferrosi, mentre la quantità di ceneri e residui di combustione, essendo minima, non avrebbe avuto alcuna rilevanza penale.

Del resto, concludeva la difesa, il Testo Unico Ambientale non prevederebbe reati che contemplano la punizione del mero “disordine” nella conduzione dell’attività di impresa, ma muoverebbe da definizioni e classificazioni ben precise.

Sulla base di queste ultime, si sarebbe dovuto escludere – secondo il fabbro – che il materiale rinvenuto all’esterno dell’opificio dove egli esercitava la sua attività fossero rifiuti: si sarebbe trattato infatti di materie prime e di scarti di lavorazione che avevano possibilità di riutilizzo, per cui non si sarebbe stati in presenza di rifiuti, se non per quantitativi esigui (10 kg. di cenere), che in ogni caso erano custoditi in un’area attigua all’opificio, recintata e chiusa con cancello.

c) la decisione della Corte

Anche in questo caso la Corte di Cassazione non risulta proprio d’accordo con le affermazioni della difesa.

Infatti, anzitutto esclude che si fosse in presenza di un deposito temporaneo7, essendosi in presenza di rifiuti non divisi per categorie omogenee, ma confusi tra loro in modo casuale e disordinato.

Questa condizione di caotica promiscuità era emersa durante il controllo di polizia giudiziaria da cui era partito il procedimento penale. Di più, la qualità di rifiuto dei rottami e degli altri oggetti rinvenuti nell’area esterna all’opificio era ulteriormente avvalorata dal fatto che tali beni erano stati collocati sulla nuda terra, oltre che in maniera promiscua, anche senza protezione ed erano quindi esposti alle intemperie, mancando in ogni caso eventuale documentazione relativa a un eventuale conferimento.

Né si può dar credito, secondo la Suprema Corte, alle affermazioni difensive circa un eventuale riutilizzo dei rottami a sostegno della tesi della natura di sottoprodotti, per una semplice ragione: la difesa non ha fornito alcuna prova a sostegno di quella tesi.

A tal proposito, vengono richiamati nella sentenza vari precedenti8 in cui i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che, in materia di gestione dei rifiuti, ai fini della qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza ed effettività, e non come mera eventualità, a un ulteriore utilizzo.

In definitiva, riassume la Cassazione, essendo quella dei sottoprodotti una disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria – ossia quella dei rifiuti – è l’imputato a dover dimostrare che sussistono le condizioni previste per poter affermare che ci si trovi in presenza di sottoprodotti e non di rifiuti.

Questo onere probatorio, conclude la sentenza, nel caso di specie non è stato adempiuto dal fabbro sotto processo (non solo per le ceneri, ma anche per gli altri rifiuti diversi dai pneumatici) per cui le difese di costui non possono essere accolte in quanto formulate in termini non adeguatamente specifici.

Anche in questo caso, la conclusione del procedimento non può che essere il rigetto del ricorso dell’imputato e la conferma della sentenza di condanna.

4) Gli insegnamenti per gli addetti ai lavori

Se gestiti correttamente, i sottoprodotti sono un mirabile esempio di circolarità industriale, in quanto tali costituiscono una grande opportunità di sostenibilità ambientale e produttività economica, come si accennava all’inizio di questo pezzo.

Se gestiti correttamente, per l’appunto.

In questo paese, intorno a questo istituto giuridico c’è ancora molta, forse troppa, diffidenza.

Una normativa ancora troppo farraginosa, una prassi amministrativa spesso “creativa” e alcuni discutibili precedenti giurisprudenziali della stessa Corte di Cassazione (specie in materia di “normale pratica industriale”) sono lì a dimostrarlo.

E la cosa è comprensibile se si pensa al rapporto storicamente difficile, per dirla in maniera delicata, tra larghi settori di questo paese e le regole in ambito ambientale; in particolare, di rifiuti. Ma i sottoprodotti restano uno strumento che ha le caratteristiche virtuose che si sono accennate sopra, creato anzitutto a livello di normazione europea, dove invece godono di grande considerazione.

In quanto tali, a essi deve essere data piena attuazione anche in Italia.

Detto questo, i principi giuridici contenuti nelle due sentenze della Suprema Corte sopra esaminate sono chiari, anche se qualche osservazione potrebbe essere avanzata anche in questo caso (specie in merito alla prima sentenza).

E da quelle pronunce tutti gli operatori economici che abbiano a che fare con i sottoprodotti possono trarre lezioni di grande importanza pratica.

A partire dal concetto basilare di onere della prova: in questa materia, non basta rispettare le regole, anche scrupolosamente, bisogna essere in ogni momento in condizione di poterlo provare; con le carte e con ogni altro tipo di elemento probatorio utile alla bisogna.

La posta in gioco è alta. L’assenza, totale o parziale, di quel compendio probatorio a sostegno della correttezza del proprio agire può comportare serie conseguenze penali: a partire dai reati di “attività di gestione di rifiuti non autorizzata” e\o di “deposito incontrollato di rifiuti”.9

Illeciti nei quali le conseguenze sanzionatorie sono serie anche e soprattutto perché non riguardano solo le persone fisiche che hanno commesso i reati, ma anche la stessa azienda che viene chiamata a rispondere con il suo patrimonio delle sanzioni pecuniarie e interdittive previste dalla legge sulla cosiddetta responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche; a meno che la stessa impresa non abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione gestione e controllo finalizzato proprio a minimizzare il rischio di commissione di determinati reati al suo interno.

Ma questo è un discorso lungo e complesso che sarà il caso di affrontare in un altro articolo.

Qui, per concludere, è solo il caso di ribadire che i sottoprodotti, proprio per l’importanza che hanno nel quadro di una corretta gestione dei profili ambientali dell’impresa, con il valore aggiunto della circolarità che si è illustrato, non possono essere utilizzati come carta della disperazione quando si arriva in un’aula di udienza penale. Perché i risultati sono quelli che emergono dalle due sentenze esaminate; a tacer d’altro.

Insomma, con i sottoprodotti non solo non si può barare: non si può nemmeno improvvisare.

Ma questo è un principio che riguarda tutta la normativa ambientale e gli adempimenti che ne derivano su chi vuol fare impresa facendo le cose in regola.

26\4\2022

Avv. Stefano Palmisano

Per consulenze e assistenza giudiziale in materia di sottoprodotti e di rifiuti: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it

1Per una guida dettagliata della gestione dei sottoprodotti, https://www.sfridoo.com/2020/07/28/rifiuti/guida-definitiva-gestione-sottoprodotti-azienda/

2Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 26/01/2022) 30/03/2022, n. 11603

3Entrambi previsti e puniti dall’art. 256, c. 1, lett. b), e c. 2, D. Lvo 152\2006.

4D. Lvo. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a)

5Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 21/12/2021) 28/03/2022, n. 11065

6Ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, in relazione al comma 1 lett. a.

7Ricordiamo che per «deposito temporaneo prima della raccolta» deve intendersi “il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell’articolo 185-bis.” (art. 183, c. 1, lett. bb)

8Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, dep. 2015, Rv. 262129, e Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Rv. 263336

9 Figure di reato entrambe punite e previste dall’art. 256, Decreto Legislativo n. 152\2006, come già visto.