End of waste gestione rifiuti reati rifiuti Stefano Palmisano avvocato

End of waste: tutorial da una sentenza. E un consiglio

Una recente pronuncia del Tar Brescia fornisce lezioni utilissime a imprenditori, consulenti e operatori del diritto interessati alla materia del recupero di rifiuti. E ci aggiungo un mio consiglio gratuito, frutto di un’altra esperienza professionale che ha confermato la confusione che regna in questa materia, a ogni livello. Con tutti i seri, ma evitabilissimi, rischi del caso per gli operatori economici; soprattutto per quelli che vogliono fare le cose per bene.

Indice

1) End of waste: tutorial da una sentenza

2) La storia

3) End of waste: la sentenza. Interessi pubblici e interessi privati

4) L’end of waste può scadere.

5) La prova della certezza di utilizzo e il senso dell’economia circolare

6) End of waste: lezioni da una sentenza

7) Un modesto consiglio personale

1) End of waste: tutorial da una sentenza

Un end of waste1 non è come un diamante: non è per sempre.

E’ una delle lezioni più significative di alcune recenti pronunce in materia di fine rifiuto che ho ritrovato lavorando a una questione professionale in quest’ambito.

Ho pensato che una in particolare potesse essere d’interesse anche per alcune delle persone che mi seguono.

E, dato che questa mia singolare vicenda di lavoro ha confermato che in questa materia grande è la confusione sotto il cielo (ma forse la situazione non è proprio eccellente), ho deciso di fornire anche un consiglio gratuito, strettamente difensivo, a tutti coloro che siano alle prese con un procedimento penale per una questione relativa a rifiuti \ fine rifiuto, sia come difensori che come parti processuali.

Andiamo con ordine.

 

2) La storia

Il principio che ho citato all’inizio è il cuore di una sentenza del Tar Brescia di meno di un anno fa.

La storia.

Una società operante nel ramo gestione rifiuti era stata autorizzata dalla provincia all’esercizio delle operazioni di recupero (R5) di rifiuti non pericolosi costituiti da terre e rocce – CER 170504 – da svolgersi in una cava. Il materiale risultante da queste operazioni diveniva “end of waste” ed era commercializzabile.

La società vendeva parte del materiale così prodotto (esattamente, 63.000 t.) ad altra società, la quale, a sua volta, ne vendeva 50.000 t. a una terza.

Quest’ultima, tuttavia, non adempiva integralmente all’obbligo negoziale di asportare il materiale acquistato.

La seconda decideva allora di trasportare il materiale residuo – che era rimasto in giacenza presso il sito iniziale – in un comune vicino.

Il comune stesso, però, vietava il trasferimento del materiale: pertanto, presso la cava2 della prima società restavano, una volta scaduta l’autorizzazione della prima impresa, 4.000 t. di materiale.

Alla scadenza dell’autorizzazione, la provincia accertava il superamento da parte della prima società del quantitativo massimo di rifiuti da trattare e altresì che questo materiale permaneva nella cava in maniera da costituire la rampa di accesso al fondo dello scavo.

Pertanto, riqualificato il materiale residuo quale rifiuto, l’Amministrazione provinciale ordinava alla stessa azienda:

i. di concludere entro 20 giorni il ripristino dell’area conferendo a impianti autorizzati di gestione rifiuti il materiale argilloso ivi accumulato;

ii. di trasmettere nei successivi 5 giorni la documentazione attestante l’avvenuta asportazione del rifiuto.

A fronte della replica della società di non poter adempiere all’ordine di ripristino non avendo più la disponibilità del materiale in quanto alienato a terzi (ossia la seconda società) la Provincia avviava il procedimento di escussione della polizza fideiussoria stipulata a garanzia dell’adempimento degli obblighi (segnatamente, quelli ripristinatori) connessi all’esercizio dell’attività di recupero autorizzata.

 

3) End of waste: la sentenza. Interessi pubblici e interessi privati

Le prime due società impugnavano il provvedimento della provincia innanzi al Tar competente e ne scaturiva una sentenza3 ricca di principi giuridici e insegnamenti pratici di grande rilievo.

Il primo dei quali è il seguente: la conclusione di accordi negoziali con soggetti terzi non può costituire causa di giustificazione per il soggetto autorizzato per sottrarsi all’adempimento degli obblighi che su di esso gravano in forza del provvedimento autorizzatorio rilasciato a suo favore dalla pubblica Autorità.

La chiosa successiva del Tar è difficilmente discutibile: tali obblighi (nel caso di specie, il ripristino della cava ove si è svolta l’attività di recupero autorizzata al termine di vigenza del provvedimento autorizzatorio) rispondono a interessi pubblici, rispetto ai quali eventuali interessi privati confliggenti sono necessariamente recessivi. Diversamente sarebbe fin troppo facile sgravarsi dalla legittimazione passiva rispetto agli ordini dell’Amministrazione cedendo a terzi la titolarità dei beni sui quali deve essere esercitata l’attività costituente adempimento degli obblighi di ripristino.

 

4) L’end of waste può scadere

Il successivo principio di diritto che il Tribunale formula in risposta al motivo di ricorso è, se possibile, ancor più significativo.

La prima società aveva, infatti, eccepito che il provvedimento provinciale non spiegherebbe perché il materiale argilloso, trattato comunque in conformità all’autorizzazione cessi di essere “end of waste” per tornare a essere un rifiuto.

La seconda società, poi, aveva introdotto un elemento ancor più interessante.

Partendo dall’assunto che un rifiuto cessa di essere tale quando è sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfa le condizioni previste dall’articolo 184 ter D.Lgs. n. 152 del 2006 e dall’articolo 6 della Direttiva quadro in materia di rifiuti, la ricorrente sosteneva che il materiale in questione presentasse le predette caratteristiche.

Sempre secondo la società, né la normativa nazionale, né quella europea hanno fissato un termine massimo di durata della qualifica di end of waste, un termine massimo entro il quale il materiale debba essere utilizzato.

Di contro, la definizione di rifiuto è contenuta nell’articolo 183, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 152 del 2006, ovverosia “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi“: tale non sarebbe l’argilla fornita dalla prima società.

Infine, ad avviso della seconda società negli atti della Provincia non sarebbero stati indicati elementi di fatto e diritto idonei a giustificare l’assegnazione della qualifica di rifiuto all’argilla di cui si discute. Nè era stata svolta un’istruttoria per appurare la volontà dei proprietari di disfarsi del materiale o l’inidoneità dello stesso a soddisfare le esigenze a cui era stato originariamente destinato.

Il Tar trattava congiuntamente tutti e tre i motivi di ricorso in quanto tutti ruotavano attorno alla qualificazione giuridica, segnatamente come “rifiuto” piuttosto che come “end of waste”, del materiale argilloso trattato dalla prima e acquistato dalla seconda società.

Dopo aver rammentato le condizioni previste dalla legge per la cessazione della qualifica di rifiuto in capo a una sostanza o materiale4, il Tribunale amministrativo ricava la conclusione che dalla definizione normativa emerge con evidenza come la qualificazione quale “end of waste” non dipenda solamente dalle caratteristiche intrinseche del materiale, ma anche da condizioni esterne che possono sussistere e persistere oppure no. Di conseguenza, non è detto che un materiale sia “end of waste” per sempre, potendo una condizione esterna venire meno nel corso del tempo, così come – al contrario – sopravvenire, modificando la qualificazione, puramente giuridica, del materiale da rifiuto a “end of waste”.

 

5) La prova della certezza di utilizzo e il senso dell’economia circolare

Secondo il Tribunale lombardo, ciò vale, in particolare, per la certezza dell’utilizzo del materiale costituente “end of waste”. Non è, infatti, sufficiente allo scopo l’affermazione generica dell’esistenza di una domanda, ma occorre, al riguardo, la dimostrazione dell’impiego di quel materiale in uno specifico processo produttivo.

La conclusione, in via generale, del Tar Brescia era perentoria, di indubbia logicità e di altrettanto evidente utilità per chiunque si trovi in una situazione analoga a quella a base del procedimento che abbiamo esaminato: in un’ottica di abbattimento della quantità di rifiuti prodotti e di incentivazione dell’economia circolare, non basta, ai fini della cessazione della qualifica di rifiuto, che il materiale sia venduto a terzi e da questi ad altri e così via, ma è necessario che, eventualmente anche dopo passaggi intermedi, il materiale sia concretamente utilizzato. Altrimenti, il passaggio di mano in mano del materiale, la semplice commercializzazione cioè, si presterebbe a una facile elusione della onerosa disciplina dello smaltimento dei rifiuti.

 

6) End of waste: lezioni da una sentenza

Insomma, se hai un’autorizzazione al recupero di rifiuti, segnati con la dovuta evidenza questi promemoria preziosi:

  1. l’end of waste può “scadere”: se cambiano le condizioni esterne del complessivo procedimento che ha portato alla cessazione della qualifica di rifiuto in capo a un materiale, questo può tornare rifiuto tout court, indipendentemente dal mantenimento delle sue caratteristiche intrinseche;
  2. questo vale in particolare per il requisito della certezza di utilizzo: ricorda che, per ottenere o mantenere la qualificazione di un materiale come end of waste – ossia, in sostanza, come prodotto – non basta la generica dichiarazione dell’esistenza di una domanda per quel prodotto: devi dare la prova dell’impiego di quel materiale in uno specifico processo produttivo;
  3. infine, quest’ultimo principio significa che i “passaggi di mano” cui un end of waste può essere sottoposto sono limitati, molto limitati: il neo-prodotto, prima o poi (meglio prima), deve essere concretamente utilizzato. In breve, economia circolare vuol dire che il cerchio si deve chiudere; e si chiude con il ri-utilizzo del materiale recuperato. Se no, torna di fatto economia lineare.

7) Un modesto consiglio personale

Come accennavo all’inizio, il ricordo e il conseguente racconto di questa sentenza ha preso le mosse dallo studio di una questione professionale; più precisamente di un procedimento penale per gestione non autorizzata di rifiuti collegata a un materiale EoW che non è stato inquadrato come tale da Pm e Gip.

E, come evidenziavo, questa vicenda mi ha fornito l’ennesima, non necessaria, conferma della massa di “equivoci” – per dirla con un eufemismo – che regna ancora in questa materia, in ogni ambito e a ogni livello.

Quindi, potrebbe risultarti utile un consiglio finale se ti trovi alle prese con una vicenda analoga: se, nel procedimento di turno, salta fuori l’idea di far accertare ad Arpa o a chi per essa la natura di rifiuto di un dato materiale, ricorda, con tutto il garbo del caso – ad Arpa e agli altri soggetti processuali – che la definizione di rifiuto non è, in generale, ancorata ad analisi chimiche, dato che l’art. 183 TUA cita come elemento discriminante solo il “disfarsi”, comprensivo dell’intenzione o dell’obbligo in tal senso.

E, soprattutto, rammenta alle controparti che, magari, durante le analisi potrebbero considerare anche l’ipotesi che il materiale in questione possa essere EoW.

Intelligenti pauca!

14\7\2023

Stefano Palmisano

 

1Di end of waste mi sono già occupato, più volte, in questo blog. Per esempio, qui.

2Per uno dei più attuali e spinosi casi di regolamentazione di dettaglio dell’end of waste, quello in materia di inerti, vd https://www.riciclanews.it/rifiuti/rifiuti-inerti-via-proroga-end-of-waste_23781.html

3T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, Sent., (data ud. 08/06/2022) 05/08/2022, n. 780

41. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:941

a) la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;938

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. ART. 184-ter (Cessazione della qualifica di rifiuto), Decreto legislativo 03/04/2006, n. 152