Terre e rocce da scavo, sottoprodotti, gestione non autorizzata rifiuti Stefano Palmisano avvocato

Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: l’Abc

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione in una recente sentenza con cui ha definito un procedimento pendente, tra l’altro, per gestione di rifiuti non autorizzata. La Corte, rigettando anche un motivo di ricorso sul punto, ha pure operato un utile riepilogo delle condizioni di legge in materia di deposito temporaneo

Indice

  1. Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: storia di Antonio

  2. La Cassazione: un ricorso manifestamente infondato

  3. Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: la lezione della Suprema Corte

  4. Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: tutorial per chi si difende

  5. Il deposito temporaneo: quando sussiste

  6. Conclusioni utili

1) Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: storia di Antonio

Un signore, che chiameremo Antonio, viene condannato dal Tribunale alla pena di sei mesi di arresto e 40.000,00 Euro di ammenda per due reati: uno di natura edilizia, l’altro di natura ambientale.

La sentenza viene confermata in Corte d’appello.

Ci occuperemo in questo articolo solo del secondo illecito. Si tratta del più classico dei reati in materia di rifiuti: la gestione non autorizzata, prevista dal cosiddetto Testo Unico Ambientale1.

L’ accusa, per la precisione, è quella di avere smaltito senza autorizzazione rifiuti non pericolosi, costituiti da materiali provenienti da attività di demolizione di fabbricati e da terre e rocce da scavo, realizzando con gli stessi – peraltro, in assenza del permesso di costruire – un terrapieno della lunghezza di 14 metri e della larghezza di 37 metri, con altezza media di circa 1 metro.

Antonio propone, quindi, ricorso per cassazione, tramite il suo difensore, contro la sentenza della Corte d’appello con cui è stata confermata la sua condanna.

I motivi di ricorso sono vari, anche perché è stato condannato per due reati, ma qui racconteremo solo quello relativo al reato citato sopra: quello in materia di rifiuti.

L’argomentazione difensiva più significativa di Antonio è la seguente: la sentenza di primo grado sarebbe illegittima poiché il Tribunale avrebbe condannato nonostante l’assenza di elementi da cui desumere che per la realizzazione del terrapieno fossero stati impiegati materiali derivanti da demolizioni piuttosto che solamente terre e rocce da scavo2 provenienti da una attività di scavo in corso.

A questo si aggiungerebbe, secondo il difensore dell’imputato, anche la mancanza di prove della volontà di Antonio di abbandonare definitivamente i materiali ammassati al di là del terrapieno: questi, infatti, secondo la difesa, al termine dei lavori avrebbero dovuto essere smaltiti, cosicchè si sarebbe trattato di un mero legittimo deposito temporaneo di rifiuti3.

 

2) La Cassazione: un ricorso manifestamente infondato

La Corte di Cassazione non ha condiviso le varie argomentazioni della difesa di Antonio, e ha bollato il ricorso come manifestamente infondato4.

I Giudici del Palazzaccio hanno anzitutto condiviso la decisione della Corte d’appello che aveva

evidenziato che il materiale utilizzato dall’imputato Antonio per realizzare il terrapieno era costituito anche da materiale derivante da demolizione e costruzione e non solo da terre e rocce scavo. Di conseguenza, era stato realizzato un illecito smaltimento – in quanto eseguito in assenza delle prescritte autorizzazioni – di tali rifiuti, stante la evidente volontà di non riutilizzarli.

Queste osservazioni, per la Suprema Corte, sono idonee a provare la sussistenza dell’illecito smaltimento di rifiuti non pericolosi contestato.

 

3) Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: la lezione della Suprema Corte

Né vengono messe in crisi dal fatto che Antonio, nel suo ricorso, avesse eccepito, in modo generico, l’applicabilità della disciplina relativa alle terre e rocce da scavo come sottoprodotti5.

Di queste ultime, infatti, è consentito – sempre dal Testo Unico Ambientale6 il riutilizzo, quali sottoprodotti, per eseguire reinterri, riempimenti e rimodellazioni. Ma alle specifiche condizioni previste dalla stessa normativa, e cioè che: “a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo; c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate; d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale; e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto; f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare, deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonchè la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione; g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata”.

 

4) Terre e rocce da scavo e sottoprodotti: tutorial per chi si difende

Qui, si arriva, quindi, alla parte più rilevante della sentenza; quella che riguarda il nervo scoperto della gran parte delle vicende processuali relative, in generale, alla gestione dei sottoprodotti: il nevralgico onere della prova, anche se in questo caso l’imputato non solo non aveva provato l’esistenza dei requisiti di legge necessari per l’applicazione della normativa in materia di sottoprodotti, ma non li aveva neppure invocati in modo specifico.

Anzi, per la Corte di Cassazione, Antonio non aveva prospettato in alcun modo la sussistenza delle condizioni di legge sopra elencate.

Pertanto, la Corte d’appello aveva sentenziato in maniera corretta escludendo la applicabilità ai materiali utilizzati per realizzare il terrapieno contestato della disciplina delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti e affermando, invece, che questi materiali erano a tutti gli effetti rifiuti.

 

5) Il deposito temporaneo: quando sussiste

L’ultimo motivo di ricorso di Antonio relativo alla sua condanna per il reato in materia di rifiuti riguarda la presunta sussistenza di un deposito temporaneo dei rifiuti ammassati al di là del noto terrapieno; deposito temporaneo che, in quanto tale, avrebbe dovuto escludere il reato ambientale.

Anche in questo caso l’argomentazione della difesa di Antonio non trova grande considerazione, per dirla in maniera delicata, da parte della Corte di Piazza Cavour.

Pure in quest’occasione, infatti, l’affermazione difensiva viene liquidata come “generica” e non ammissibile in Cassazione.

Per chiudere definitivamente la questione, la Suprema Corte non risparmia alla difesa di Antonio un’altra “nota critica”, dato che, “comunque non sono state, anche a questo proposito, in alcun modo allegate le condizioni necessarie per poter ravvisare un deposito temporaneo di rifiuti7 costituite dal raggruppamento dei rifiuti e dal loro deposito preliminare alla raccolta ai fini dello smaltimento per un periodo non superiore all’anno o al trimestre (ove superino il volume di 30 mc), nel luogo in cui gli stessi sono materialmente prodotti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore e dotato dei necessari presidi di sicurezza”.

 

6) Conclusioni utili

Insomma, pare ricordare la Corte a tutti gli Antonio (e, soprattutto, ai loro difensori) che vogliano far valere in chiave difensiva due istituti peculiarissimi del diritto ambientale come i sottoprodotti e il deposito temporaneo: l’onere della prova della sussistenza delle condizioni che permettono l’applicazione di queste due normative eccezionali è tutto in capo a voi.

Ma, prim’ancora, l’onere della puntuale e specifica indicazione dei requisiti della normativa di favore di cui si chiede l’applicazione nel caso concreto.

Mi è capitato spesso di esprimere perplessità, anche corpose, in merito ad alcune pronunce della Cassazione in materia di sottoprodotti; in particolare, per quanto riguarda l’applicazione rigoristica dei principi relativi all’onere della prova.

La sentenza con cui è stata confermata la condanna di Antonio non rientra tra quelle pronunce.

 

1Art. 256, c. 1, D. Lvo 152\2006

3Ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183

4Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 03/07/2023) 27/07/2023, n. 32745

5Di sottoprodotti mi sono più volte occupato in questo blog; da ultimo per commentare un’altra sentenza di grande importanza.

6Per la precisione, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186

7Ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2016, art. 183, comma 1, lett. bb)