Cumulo di rifiuti

Molestie olfattive: un inquinamento diffuso

Un parametro ambientale e una determinante di danno alla salute, come tanti altri: questo sono, ormai pacificamente, i cattivi odori nelle società del terzo millennio. Contro questo fenomeno nocivo, infatti, esiste una tutela legale, anche penale, sempre più ampia e stringente; anche sulla base di acquisizioni e sollecitazioni scientifiche.

Indice

  1. Le molestie olfattive: un tipo di contaminazione sempre più riconosciuta come tale
  2. La sentenza

    a) il fatto

    b) i motivi di ricorso

    c) la decisione: il reato del Testo Unico Ambientale

    d) e quello del codice penale

    e) beni protetti diversi, reati diversi, sanzioni diverse (e cumulabili)

  3. Conclusioni

1) Le molestie olfattive: un tipo di contaminazione sempre più riconosciuta come tale

Un libro sulle molestie olfattive, uscito di recente a firma di un gruppo di studiosi1, riapre la questione degli strumenti di tutela legale contro quella che è a tutti gli effetti una forma di inquinamento, ancora sottovalutata da tanti – spesso in qualche forma di conflitto di interesse – ma sempre più avvertita come tale da numerosi cittadini, singoli nonché collettività, che ne sono afflitti e che non mancano di porre pubblicamente il problema.

E, come spesso accade, una sentenza della Corte di Cassazione, lunga e articolata oltre che abbastanza recente2, costituisce un eccellente riassunto dello stato dell’arte della tutela nel nostro ordinamento giuridico da questo fenomeno pernicioso per l’ambiente e la salute umana.

2) La sentenza

a) il fatto – cenni

Un impianto di trattamento rifiuti veniva sequestrato perché al titolare dello stesso erano contestati due distinti reati: 1) quello di gestione non autorizzata di rifiuti)i3 per aver smaltito illecitamente 7.013 tonnellate di fanghi; 2) quello di getto pericoloso di cose4 per la diffusione nell’aria di emissioni odorose nauseabonde provocate con la ricezione, il trattamento e la custodia dei fanghi di depurazione nell’impianto sito in una zona industriale.

L’imputato ricorre per Cassazione contro il provvedimento di sequestro.

b) i motivi di ricorso

Ai fini di questo articolo, rileva solo il secondo motivo di ricorso, quello relativo al reato di getto pericoloso di cose.

La difesa sostiene che non sussisterebbe il reato contestato per una serie di ragioni.

In particolare, per l’introduzione, nel 2017, nel cosiddetto Testo Unico Ambientale (TUA) di una norma specificamente riferita alle emissioni odorigene5 che escluderebbe, in linea di principio, l’applicabilità della vecchia figura di reato sancita dal codice penale. Ciò poiché la prima si porrebbe come norma speciale rispetto alla seconda, neutralizzandola.

In pratica, la nuova norma ambientale renderebbe lecite le emissioni se rientranti nel limite fissato dall’autorizzazione e farebbe scattare uno specifico reato (più precisamente, una contravvenzione) sempre previsto dal TUA6 in caso di superamento dei limiti. In ogni caso, del reato di getto pericoloso di cose in caso di emissioni odorigene non dovrebbe potersi più parlare.

Di conseguenza, siccome la società disponeva di un’autorizzazione – emessa successivamente all’entrata in vigore della norma del 2017 – relativa al rilascio in atmosfera di determinate emissioni a condizione che rispettino uno specifico valore limite e la stessa autorizzazione risultava rispettata dalla società, non sarebbe immaginabile, in assoluto, alcuna ipotesi di reato nella vicenda concreta.

c) la decisione: il reato del Testo Unico Ambientale

La Cassazione non condivide l’impostazione della difesa e rigetta il ricorso dichiarandolo infondato.

Sempre rimanendo nell’ambito della sola questione che interessa ai fini di questo lavoro, la Suprema Corte avvia il suo ragionamento richiamando il contenuto della sentenza impugnata: il Tribunale ritiene che l’inserimento della nuova disposizione del TUA7 determini solo l’applicazione della sanzione penale prevista per il superamento dei limiti di legge, ferma restando l’applicabilità del getto pericolo di cose8 nel caso in cui le emissioni producano anche molestie alle personej. In questo modo, si dichiara possibile il concorso tra le due diverse contravvenzioni ossia la possibilità che l’imputato venga punito per entrambi i reati.

La Corte passa, quindi, a richiamare, per farla propria, la propria giurisprudenza sulla base della quale è configurabile il reato di getto pericoloso di cose nel caso in cui, pur nel rispetto dei limiti imposti, le emissioni superino la normale tollerabilità: il che pare proprio quello che è accaduto nel caso di specie, in cui dalle dichiarazioni assunte nel corso delle indagini dai residenti nelle zone limitrofe allo stabilimento emergevano fenomeni quali la presenza di forti odori nauseabondi e di grossi sciami di mosche, peraltro direttamente percepiti dalla polizia giudiziaria nel corso dei sopralluoghi.

I supremi giudici passano, quindi, a rispondere alla più significativa argomentazione difensiva dell’imprenditore, su ricordata: quella per la quale, dopo la riforma del 2017, non sarebbe più possibile applicare il reato di getto pericoloso di cose in ambito di molestie olfattive, restando astrattamente utilizzabile solo la nuova norma del TUA.

Il primo elemento da evidenziare, per la Corte, è che, in sede di autorizzazione, l’imposizione delle misure di contrasto alle emissioni odorigene indicate nell’art. 272-bis è del tutto eventuale, dato il riferimento alla mera possibilità e non ad un obbligo9. L’autorizzazione di cui si sta parlando è, evidentemente, quella alle emissioni in atmosfera prevista da un’altra norma del TUA.10

Fatta questa precisazione, nel caso in cui l’autorizzazione comprenda anche le misure di contenimento delle emissioni olfattive e vi sia stata violazione dei relativi valori limite di emissione, potrà essere affermata la contravvenzione11 tipica per questo tipo di infrazioni.

d) e quello del codice penale

Tornando, poi, al reato di getto pericolo di cose e al rapporto di questo con la nuova norma contenuta nel TUA, sopra analizzata, i giudici del Palazzaccio formulano il seguente, perentorio, principio di diritto: l’illecito in questione lo si può commettere anche in presenza di emissioni olfattive.

E’ fondamentale, però, chiarire preventivamente il concetto di “molestia” che integra l’illecito in questione: in particolare, occorre distinguere tra l’attività produttiva svolta senza l’autorizzazione dell’autorità preposta, per la quale il contrasto con gli interessi tutelati – ossia l’incolumità pubblica – va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità”, e quella esercitata secondo l’autorizzazione e senza superamento dei limiti consentiti, per la quale si deve far riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone previsto dalla norma civilistica in materia di immissioni12. Sempre che l’azienda abbia adottato gli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per abbattere l’impatto delle emissioni sulla realtà esterna.

Può sembrare una distinzione cavillosa, ma non lo è: pur partendo dal punto di vista, o meglio dalla percezione delle persone esposte alle emissioni odorigene (strettamente o normalmente tollerabili), essa serve a differenziare, com’è doveroso, la posizione dell’azienda che provoca le emissioni stesse, a seconda che sia munita e rispetti una regolare autorizzazione amministrativa – quindi la sua attività sia sostanzialmente legale – oppure ne sia priva o comunque la violi – risultando, in tal modo, in tutto o in parte illegale.

Alla luce di questa fondamentale precisazione, può a questo punto considerarsi il rapporto tra la contravvenzione di getto pericoloso di cose e la disciplina in tema di inquinamento atmosferico prevista dal TUA: nel senso di escludere la sussistenza di rapporto di specialità – che era stato sostenuto dalla difesa dell’imprenditore – e riconoscendo la possibilità del concorso tra entrambi i reati. Ossia della possibilità che lo stesso imprenditore sia punito per ambedue gli illeciti.

e) precetti diversi, beni protetti diversi, reati diversi, sanzioni diverse (e cumulabili)

Le ragioni di questa soluzione interpretativa stanno anzitutto nella diversità del precetto delle due norme: quello relativo all’inquinamento atmosferico è riferito alla messa in opera di determinate cautele e al rispetto delle prescrizioni e limiti indicati dalla legge e dalle autorizzazioni, mentre quello di getto pericoloso riguarda una condotta consistente nel getto di cose o nel provocare emissioni di gas, vapori e fumi atti a offendere o molestare le persone.

Ma c’è anche la diversità del bene tutelato, perchè nel primo caso, si fa riferimento all’ambiente in genere ed alla matrice aria in particolare (e solo in via mediata viene tutelata la generalità dei soggetti che subiscono le conseguenze del degrado qualitativo dell’aria che respirano), mentre nel secondo, l’oggetto della tutela è la pubblica incolumità. Per le stesse ragioni, continua la Corte, la possibilità del concorso tra reati è stata riconosciuta anche con riferimento ad altre violazioni ambientali, ad esempio in materia di acque o rifiuti.

Per tutti i motivi sopra esaminati, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

3) Conclusioni

Questo blog è dedicato al diritto dell’economia circolare, intesa come disciplina legale di quello che dovrebbe diventare, in un futuro più o meno prossimo, il nuovo modello economico di riferimento di tutta l’Unione Europea all’insegna della sostenibilità e rigeneratività del sistema economico – produttivo.

Fenomeni come quello dell’inquinamento ambientale, e nel caso di specie dell’inquinamento olfattivo, tuttavia, sono lì a ricordarci la necessità di una seria tutela legale qui e ora dell’ambiente e della salute umana da quei fenomeni; una tutela che, per essere efficace e deterrente, non può che essere anche penale.

Per due fondamentali ragioni:

  1. il danno, o anche solo il pericolo, all’ambiente e alla salute umana va contrastato e limitato subito, anche in un sistema economico lineare. Soprattutto in un sistema economico lineare. Senza attendere l’età dell’oro della circolarità e della rigeneratività che potrebbe anche tardare molto ad arrivare.
  2. apprestare da subito, anche in un sistema lineare, un apparato di tutela effettivo e dissuasivo sarà comunque un patrimonio – anche di pedagogia sociale – pure per l’era circolare di là da venire. A costo di apparire troppo disincantati, l’ambiente e la salute umana di tutele legali adeguate avranno bisogno ancora a lungo, per non dire sempre, dalle attività economico – produttive e dai loro responsabili. La strada che porta all’uomo circolare, tutto sostenibilità ambientale e sociale, è ancora lunga e irta di ostacoli. Se esiste davvero.

4\5\2022

Avv. Stefano Palmisano

 

Per consulenze e assistenza giudiziale in ambito di inquinamento olfattivo e di reati ambientali in generale, palmi.ius@avvstefanopalmisano.it

 

2Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 29/04/2021) 21/05/2021, n. 20204

3Di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto Testo Unico Ambientale – TUA), art. 256, comma 1, lett. a).

4Previsto e punito dall’art. 674 codice penale (nel prosieguo, c.p.).

5D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 272-bis,

6Di cui al D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 279

7Quella sancita dal nuovo art. 272 bis.

8Prevista dall’art. 674 c.p.

9 A questo punto, è il caso di riportare integralmente la norma in questione (introdotta, lo ricordiamo, dall’art. 1, comma 1, lett. f), n. 8), D.Lgs. 15 novembre 2017, n. 183):

ART. 272-bis (Emissioni odorigene)

1. La normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo. Tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata, e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori limite più severi con le modalità previste all’articolo 271:

a) valori limite di emissione espressi in concentrazione (mg/Nm3) per le sostanze odorigene;

b) prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno, incluso l’obbligo di attuazione di piani di contenimento;

c) procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento;

d) criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento;

e) specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento.

2. Il Coordinamento previsto dall’articolo 20 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155, può elaborare indirizzi in relazione alle misure previste dal presente articolo. Attraverso l’integrazione dell’allegato I alla Parte Quinta, con le modalità previste dall’articolo 281, comma 6, possono essere previsti, anche sulla base dei lavori del Coordinamento, valori limite e prescrizioni per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo, inclusa la definizione di metodi di monitoraggio e di determinazione degli impatti.

10L‘art. 269, D. Lgs. 152\2006.

11Di cui al comma 2 dell’art. 279 del TUA

12Art. 844 codice civile