Pezzi di ricambio auto e reato rifiuti Stefano Palmisano avvocato

Pezzi ricambio auto: rifiuti per forza?

La Corte di Cassazione conferma la condanna del legale rappresentante di una società imputato di gestione non autorizzata di rifiuti per aver importato parti usate di autoveicoli, presunti in modo assoluto rifiuti indipendentemente dalle reali condizioni di efficienza. Un meccanismo cieco che ha reali ragioni di tutela ambientale alla sua base, ma che forse è arrivato il momento di ridiscutere: perchè, indipendentemente dal caso di specie, rischia di affossare l’economia circolare, che è a sua volta uno strumento di tutela ambientale. Uno dei principali!

Indice

  1. Pezzi di ricambio auto e rifiuti: la storia

  2. Pezzi di ricambio auto e rifiuti: la sentenza

  3. Il nodo da sciogliere: il concetto di rifiuto e l’economia circolare

1) Pezzi di ricambio auto e rifiuti: la storia

Un signore importa in Italia 14 casse contenenti parti usate di autoveicoli, prive di documentazione.

Scatta immediatamente l’accusa di gestione non autorizzata di rifiuti.

L’imputato prova a difendersi negando la qualifica di rifiuto degli oggetti in questione, perché si trattava solo di parti di ricambio utilizzabili con un loro valore economico1.

A questo riguardo, chiede l’espletamento di una perizia per poter dimostrare che i pezzi di ricambio erano funzionanti e non avevano bisogno di nessuna operazione tecnica per essere riutilizzati.

Il Tribunale nega la perizia e lo condanna per il reato ascrittogli.

L’imputato interpone ricorso per Cassazione e ripropone, in sostanza, le stesse eccezioni difensive relative alla qualifica di rifiuto dei beni in esame.

 

2) Pezzi di ricambio auto e rifiuti: la sentenza

La Cassazione, con una sentenza di pochi mesi fa2, conferma la sentenza del Tribunale.

Anzitutto, in merito alla richiesta di perizia, avalla il diniego del primo Giudicie perché il compito di accertare se si trattasse di rifiuti è “evidentemente di diretta competenza giurisdizionale ed esulante rispetto a quelli svolti dal consulente tecnico.”

Con riferimento alla questione di fondo della natura di rifiuto dei materiali oggetto della spedizione, poi, il Collegio di Piazza Cavour parte da una prima asserzione: si trattava “di parti usate di autovetture ammassati alla rinfusa all’interno di numerose casse spedite alla società commerciale gestita dall’imputato e che questo intendeva a sua volta commercializzare nei paesi del Nord Africa e sulle quali non risultava essere stata eseguita alcuna operazione di rigenerazione”.

Ma, soprattutto, la Corte cita se stessa e chiude il discorso:sulla base della giurisprudenza di questa Corte, i veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono rifiuti ai sensi della voce “16 01” dell’allegato D alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, richiamato dall’art. 184, comma 5, stesso decreto e che a norma dell’art. 184-ter, comma 1, del medesimo testo normativo, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni in esso previsti (Corte di cassazione, Sezione 3^ penale, 13 febbraio 2018, n. 6939), operazioni tutte queste indicate che, come detto, non risultano essere state eseguite dal fornitore dei citati pezzi di ricambio.”

Dello stato reale dei pezzi di ricambio, della loro effettiva capacità di funzionare anche in assenza di “operazioni di rigenerazione”, nella pronuncia della Suprema Corte non c’è traccia, più o meno comprensibilmente: “sulla base della giurisprudenza di questa Corte” sono presunti rifiuti, iuris et de iure.

 

3) Il nodo da sciogliere: il concetto di rifiuto e l’economia circolare

Ora, sarà anche vero – come sancisce la Corte di Giustizia dell’Unione Europea – che “l’ambito d’applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine ‘disfarsi”, il quale va interpretato in base al principio generale che la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente ed è fondata sui principi, in particolare, della precauzione e dell’azione preventiva. Ne consegue che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo”.3

Sarà anche, come scrivono i Supremi Giudici, che “la nozione normativa di ‘rifiuto’ non è una nozione ontologica ma finalistica; cfr. infatti il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, secondo il quale costituisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi” senza che assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero”.

Ma tutto ciò, questo approccio “finalistico”, inizia ad assomigliare un po’ troppo a una gabbia, dalla quale un qualsiasi oggetto usato, in qualsiasi condizione si trovi, che venga ceduto dal suo originario detentore rischia di non poter più uscire.

Se non per finire in una discarica.

Una gabbia nella quale finisce per rimanere intrappolata anche l’economia circolare.

Brindisi, 24\5\2023

Stefano Palmisano

 

1Di commercio di rifiuti mi sono già occupato in questo blog, qui: http://www.avvstefanopalmisano.it/commercio-rifiuti-quando-e-lecito/

2Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 02/11/2022) 02/03/2023, n. 8968

3Per un approfondimento giurisprudenziale sulla questione della classificazione dei rifiuti, tra Corte di Cassazione e CGUE, vd. https://www.reteambiente.it/news/36319/classificazione-dei-rifiuti-dopo-la-corte-di-giustizia-la-ca/