Impianto fotovoltaico

Il decreto energia, la semplificazione per le energie rinnovabili e l’ideale dell’ostrica: la tradizione o la transizione?

Nel recente decreto legge seguito alla crisi del gas, vengono introdotte importanti novità per far finalmente decollare gli impianti di energie pulite. Ma le semplificazioni soffrono ancora di grande timidezza e di troppe eccezioni.

Indice

  1. Il pianeta tra crisi climatica e razionamenti energetici
  2. Il decreto energia: un tentativo di sfrondare una giungla
  3. Le eccezioni alle semplificazioni: la tradizione continua a prevalere sulla (e a bloccare la) transizione?

1) Il pianeta tra crisi climatica e razionamenti energetici

E’ fondamentale rispettare il taglio delle emissioni climalteranti del 45% entro il 2030 e arrivare al ‘net zero’ entro il 2050. Non ha dunque più nessun senso finanziare i combustibili fossili, ogni altro atteggiamento è criminale. Ma più che rallentare i fossili è importante ora aumentare la produzione di energia verde, l’unica che assicura sicurezza energetica, accesso universale, posti di lavoro”.

Lo scrivono gli scienziati dell’IPCC, l’organismo delle Nazioni Unite creato per studiare la crisi climatica.

Il lessico che traspare dallo stralcio su citato è assai diverso, con tutta evidenza, da quello paludato tipico dei testi scientifici ufficiali. E questo è già un elemento emblematico della gravità della situazione descritta dal gruppo di esperti.

Ieri, per la prima volta, il Presidente del Consiglio ha ammesso la possibilità che “si debba entrare in una logica di razionamenti” per quanto riguarda anzitutto le fonti energetiche (e, in immediata successione, alcuni generi alimentari e mangimistici), ossia di “tetto per il gas”; ovviamente, come effetto dell’invasione dell’Ucraina e della conseguente guerra, al sentore nucleare, scatenata dalle mire imperialistiche del gruppo dirigente russo.

Non sono un cultore di tormentoni tipo “la crisi come opportunità” o amenità siffatte; ma, se si leggono in sinossi le due notizie che accennavo sopra, non occorre davvero particolare acume per cogliere in questa ineffabile fase storica l’occasione straordinaria per soddisfare la necessità – non l’opportunità – di quel cambio di paradigma energetico ed economico, ma prim’ancora culturale, di cui si sdottoreggia nei convegni e nelle parate ufficiali da almeno un ventennio: risparmio energetico, fine di ogni tipo di incentivo alle fonti fossili, promozione sistemica delle fonti di energia rinnovabile, autoproduzione, comunità energetiche…

2) Il decreto energia: un tentativo di sfrondare una giungla

E qualcosa, in questo senso, pare finalmente muoversi.

Il governo, per esempio, all’inizio di questo mese ha approvato un decreto legge che contiene “misure strutturali e di semplificazione in materia energetica”, proprio per provare a sfoltire un po’ la giungla regolamentare e burocratica che, in questo paese, soffoca nella culla gli impianti di rinnovabili.

Con il provvedimento legislativo in questione, si sancisce l’eliminazione di “permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, ivi inclusi quelli previsti dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42” – ossia inclusa la celeberrima autorizzazione paesaggisticarelativi allainstallazione, con qualunque modalità, di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici… o su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici”.

Certo, questo passo governativo avrebbe dovuto esser compiuto qualche lustro fa, dato che di energie pulite, di transizione ecologica, di sostenibilità, di lotta ai cambiamenti climatici… si parla da tempo, “dove si puote ciò che si vuole”, come di necessità non derogabile né differibile. Peraltro, è altamente probabile che nella, appena tardiva, iniziativa dell’esecutivo, abbia contato un po’ più la guerra imperialistica di Putin e le sue conseguenze sui nostri approvvigionamenti di gas che il rapporto IPCC.

3) Le eccezioni alle semplificazioni: la tradizione continua a prevalere sulla (e a bloccare la) transizione?

Ma il punto non è questo. Il problema è che quelle misure di semplificazione saranno pure strutturali, ma sono ancora terribilmente parziali.

Due esempi su tutti.

1)L’eliminazione di “permessi, autorizzazioni…” non riguarda espressamente anche la realizzazione ex novo di strutture o manufatti appositamente ed esclusivamente destinati a sostenere i pannelli fotovoltaici stessi in tutti quei casi in cui l’edificio in questione non disponga di spazi idonei sul tetto per la collocazione dei moduli né di strutture o manufatti esterni utilizzabili a tal fine.

E’ un caso, specie in alcune parti del paese, tutt’altro che residuale: si pensi ai trulli o altre abitazioni rurali analoghe, sempre più usati come abitazione principale.

Se quella previsione rimanesse invariata anche nella legge di conversione del decreto legge in questione, le persone che vivono in questi immobili resterebbero ancora regolarmente frustrate in qualsivoglia loro ambizione di autoproduzione di energia pulita dalla mannaia paesaggistica che scatta implacabilmente sulla loro testa a normativa e soprattutto a burocrazia vigenti. In questo modo, peraltro, perpetuando una discriminazione odiosa a carico di questi cittadini.

2)Discorso non molto diverso è quello a base del secondo esempio. Le semplificazioni sopra accennate soffrono di corpose eccezioni: gli impianti che ricadono in determinate aree o immobili oggetto di specifiche tutele paesaggistiche, ça va sans dire. E quali sono queste aree o immobili privilegiati? “Le ville, i giardini e i parchi … che si distinguono per la loro non comune bellezza […]”, ma soprattutto “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici.

Ora, il discorso sarebbe lungo e complesso, e involgerebbe la stessa natura del diritto ambientale, per non dire del diritto tout court, come strumento di regolazione e di bilanciamento di interessi diversi e in alcuni casi contrapposti.

Ma forse può essere sintetizzato in una semplicissima domanda, senza particolari timori di banalizzazione: perché, nell’anno di grazia 2022 – con un mondo, con le nostre società che oggi sono strette nella tenaglia che si illustrava per sommi capi all’inizio di questo scritto – il “valore estetico e tradizionale” dovrebbe essere considerato ancora prevalente sul valore della transizione ecologica, della sostenibilità, del contrasto alla crisi climatica, della sicurezza e della sovranità energetica?

Che idea di progresso, di futuro ha un legislatore, un governo, un paese se continuano a restare aggrappati – come ostriche allo scoglio, per dirla con Verga – a quella gerarchia di valori, qualunque sconvolgimento accada nel mondo?

La conversione in legge del decreto energia fornirà, comunque, risposte illuminanti a queste domande oziose.