Avvocato Stefano Palmisano

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Marmo, scarti, sottoprodotti, Cassazione

Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: novità dalla Cassazione

Da una delle zone più vocate del paese all’estrazione e alla lavorazione del marmo, arriva il caso a base dell’ultima, fondamentale, sentenza della Suprema Corte in materia di residui di produzione e sottoprodotti, in un complesso procedimento penale relativo a reati ambientali ed edilizi. Ennesima dimostrazione che quello dei sottoprodotti, per le imprese, è un campo ricco tanto di vantaggi economici e meriti ambientali quanto di rischi penali. Se la gestione di queste sostanze non viene effetuata a dovere, s’intende.

Indice

  1. Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: la storia

  2. Il ricorso dell’imprenditore

  3. Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: la sentenza

  4. L’accumulo di residui di produzione: non sottoprodotti, ma deposito incontrollato o discarica abusiva

  5. Il marmo e i suoi scarti: senza certezza di utilizzo, non sono sottoprodotti ma rifiuti

  6. Il titolo edilizio per scavi e sbancamenti: non CILA, ma permesso a costruire

  7. Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: conclusioni provvisorie

1) Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: la storia

La zona di centro – nord della Puglia, quella che una volta era il nord barese e oggi è la (ormai non più tanto) nuova provincia BAT – ha tra le sue principali attività economico – produttive l’estrazione e la lavorazione del marmo: la notissima “pietra di Trani”.

Questo settore produttivo e i materiali che ne sono a base costituiscono un bacino ricchissimo di questioni legali relative alla natura giuridica degli scarti di lavorazione del marmo stesso; il che vuol dire di casistitca giurisprudenziale relativa ai sottoprodotti1, per venire direttamente al cuore di questo articolo e a uno dei temi di elezione di questo blog.

Meno di un mese fa, il già variegato mosaico di sentenze della Corte di Cassazione in questo campo si è arricchito di un ulteriore tassello: importantissimo.

Il GIP presso il Tribunale di Trani disponeva la revoca del sequestro preventivo di un terreno, nonchè di una cava e di ulteriori beni ivi presenti, originariamente sequestrati in un procedimento penale per una serie di reati, ambientali ed edilizi, tra cui quello di discarica abusiva2.

Il PM proponeva appello contro il dissequestro e il Tribunale gli dava ragione e ripristinava la misura cautelare. In particolare, il Giudice collegiale escludeva che i materiali provenienti dall’attività svolta dal ricorrente fossero qualificabili quali sottoprodotti, dichiarandoli invece rifiuti, e riteneva l’assenza di un valido titolo autorizzativo ai fini edilizi.

 

2) Il ricorso dell’imprenditore

L’imprenditore, indagato per i reati citati sopra, proponeva, quindi, ricorso per Cassazione, sulla base dei seguenti motivi (ricavabili dalla stessa sentenza).

Il Tribunale avrebbe anzitutto errato nell’applicazione della legge, ritenendo la natura di rifiuto del pietrame proveniente dalla lavorazione manuale delle lastre a spacco, attività esercitata dal ricorrente quale ditta individuale.

In secondo luogo, infondata sarebbe anche, secondo l’indagato, la valutazione del riempimento di una preesistente depressione di un’area con il pietrame stesso integrasse come reato di discarica abusiva.

L’errore in cui sarebbe incorso il tribunale consisterebbe nel ritenere i detriti litoidi, provenienti dall’attività svolta dal ricorrente, quale rifiuto. In questo senso, il Tribunale del riesame non avrebbe correttamente interpretato il disposto di cui all’art. 183 e art. 184 bis, lett. b) del D. Lvo 152\2006; e così avrebbe escluso la qualità di sottoprodotto.

La difesa dell’imprenditore evidenziava che l’art. 184 bis, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, considera sottoprodotto anche il riutilizzo del materiale nel corso dello stesso processo di produzione presso lo stesso sito. Nel caso di specie, quindi, il riempimento effettuato con gli inerti rivenienti dallo stesso processo di produzione delle lastre a spacco rappresenterebbe la prova che il riutilizzo di detto materiale è stato effettuato nell’ambito dello stesso ciclo produttivo e nello stesso sito di produzione.

Il tribunale, infine, secondo il punto di vista dell’imprenditore, non avrebbe considerato il contenuto della CILA che comprendeva tale tipo di attività di riempimento, anzi avrebbe erroneamente escluso la sua rilevanza.

Il riempimento effettuato con il pietrame prodotto direttamente in loco, pertanto, non potrebbe essere in nessun caso considerato una discarica non autorizzata.

 

3) Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: la sentenza

La Corte di Cassazione rigetta3 in blocco l’apparato argomentativo dell’imprenditore.

Anzitutto, riepiloga la normativa di riferimento in materia di rifiuti e sottoprodotti4

Subito dopo, il Collegio ribadisce che i requisiti legali dei sottoprodotti devono sussistere contestualmente; con la conseguenza che la mancanza di certezza in ordine al riutilizzo esclude a monte che essi possano essere qualificati come sottoprodotti, a prescindere dall’indagine in ordine al tipo di operazioni cui sottoporli per il riutilizzo, la cui dimostrazione è onere della parte.

Venendo a esaminare il caso concreto, la Cassazione ricorda di essersi già occupata più volte del materiale residuo della lavorazione della pietra, affermando sempre il principio per cui che gli inerti di marmo travertino non sono, di per sè, qualificabili come sottoprodotti: occorre a tal fine la prova certa del loro utilizzo, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi.

 

4) L’accumulo di residui di produzione: non sottoprodotti, ma deposito incontrollato o discarica abusiva

Subito dopo, in via incidentale, la sentenza fornisce un altro principio assai poco gradito all’imprenditore indagato e a tutti coloro che si trovano nelle sue stesse condizioni: in tema di gestione dei rifiuti, poichè al fine di escludere la natura di rifiuti speciali dei residui di produzione è necessaria la prova della loro riutilizzazione “certa” ed “effettiva” nel ciclo produttivo (che può essere analogo, diverso ovvero lo stesso) e senza pregiudizio per l’ambiente, in caso di loro accumulo protrattosi per anni, deve escludersi tale riutilizzazione, configurandosi progressivamente il reato di deposito incontrollato di rifiuti e quello di discarica abusiva.

 

5) Il marmo e i suoi scarti: senza certezza di utilizzo, non sono sottoprodotti ma rifiuti

La conclusione dell’articolato discorso della Suprema Corte non potrebbe essere diversa: gli scarti della lavorazione della pietra svolta dal ricorrente sono rifiuti, in mancanza di una dimostrazione di un diverso utilizzo, il cui onere è a carico della parte, e in presenza, invece, di un mero accumulo sul terreno di tali residui.

Quindi, secondo i Giudici di Piazza Cavour, il Tribunale del riesame di Trani ha correttamente individuato la natura di rifiuto dei detriti in questione che erano prodotti dall’attività svolta dal ricorrente ed erano riversati per riempire un’area, in sito, che presentava un preesistente avvallamento.

Non è, infatti, possibile qualificarli come sottoprodotti. E ciò poiché, è bene ripeterlo fino alla noia, sarebbe occorsa a tal fine la prova certa del loro utilizzo, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi, prova che è mancata.

 

6) Il titolo edilizio per riempimenti e sbancamenti: non CILA, ma permesso a costruire

Un’ultima notazione merita il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione in ordine al reato edilizio5: è soggetta a permesso di costruire l’esecuzione di interventi che determinano una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio.

L’attività di riempimento di un’area con materiale litoide, quindi, al pari delle opere di sbancamento e livellamento del terreno, rientra tra le attività edilizie per cui è richiesto il permesso a costruire comportando una modificazione permanente dell’assetto del territorio: non è, pertanto, sufficiente la CILA.

 

7) Il marmo, i suoi scarti, i sottoprodotti: conclusioni provvisorie

L’ho anticipato sopra, ma soprattutto l’ho sottolineato come un mantra fino a oggi: quello dei sottoprodotti è terreno cruciale per l’economia circolare, il che vuol dire, al contempo, per la competitività delle imprese e per la sostenibilità ambientale. Ma può diventare un terreno minato, se non viene curato in modo adeguato; fuor di metafora, se i sottoprodotti non vengono gestiti “a perfetta regola di legge”.

La conseguenza non può che essere una: in questa peculiarissima materia non c’è più spazio per il fai da te aziendale.

Sentenze come quella esaminata in questo articolo sono lì apposta a ricordarlo.

24\1\2023

Avv. Stefano Palmisano

 

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1Il rapporto tra scarti di lavorazione del marmo e sottoprodotti è così sentito in questo comparto industriale che vi sono ormai prese di posizione sempre più pressanti perchè si provi a risolvere il problema a monte, ossia in ambito normativo: https://www.confindustriatoscananord.it/area-stampa/comunicato-stampa.745/scarti-della-lavorazione-di-marmo-e-pietre-l-obiettivo-e-che-non-siano-piu-un-rifiuto-ma-un-sottopro

2Art. 256, c. 3, D. Lvo 152\2006

3Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 23/11/2023) 19/12/2023, n. 50499

4Artt. 183 e 184 bis, D. Lvo 152\2006

5Art. 44, D.PR. 380\2001

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