Gestione rifiuti, inquinamento ambientale, frantio, reati ambientali

Acque reflue di frantoi e gestione rifiuti: quando scatta il reato?

Un recente video sul canale You Tube Diritto Ambientale – Avv. Stefano Palmisano relativo a una sentenza della Cassazione in materia di acque di lavaggio delle olive, fertirrigazione e reato di deposito incontrollato di rifiuti ha sortito particolare interesse e tante domande da parte di titolari di aziende agricole e di produttori di olio. Tanto che ho pensato che potesse essere utile raccontare un’altra storia simile, anch’essa a base di una sentenza della Suprema Corte: più vecchia di quella citata sopra, ma sempre attuale e, quindi, utile per gli addetti ai lavori. Il principio che ispira questi articoli e questo blog è sempre lo stesso: molto spesso, nei panni degli imprenditori finiti sotto processo per reati ambientali avrebbero potuto esserci tanti altri loro colleghi. Per questi ultimi, quindi, conoscere queste vicende processuali e trarre dalle stesse le dovute lezioni può servire a evitare guai grossi per il futuro. Raccontare queste storie e spiegarne il significato legale, quindi, è un servizio gratuito che questo blog e il suo autore, da avvocato ambientale, rendono ai produttori e alle loro imprese.

Indice

1) Acque reflue di frantoi e gestione rifiuti: la storia

2) Acque reflue di frantoi e gestione rifiuti: la sentenza

3) Conclusioni e consigli

1) Acque reflue di frantoi e gestione rifiuti: la storia

Teodoro è il legale rappresentante di un frantoio. Viene condannato per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi1.

Il fatto contestatogli è quello di aver smaltito senza autorizzazione rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da reflui di frantoio oleario, interrando una tubazione che consentiva lo sversamento dei liquidi nei terreni a valle del bacino di stoccaggio. Il reato sarebbe stato commesso in concorso con Franco, l’affittuario del terreno nel quale si trovava il bacino di stoccaggio delle acque.

Entrambi gli imputati ricorrono per cassazione sulla base di un motivo di fondo: l’attività svolta da Franco, quale affittuario dei terreni della fattoria, era autorizzata alla fertirrigazione (costituente regolare pratica agronomica, consistente nella distribuzione uniforme di concimi organici o minerali sul terreno), che veniva, a sua volta, svolta in conformità alle prescrizioni della autorizzazione2.

2) Acque reflue di frantoi e gestione rifiuti: la sentenza

La Corte di Cassazione3 rigetta entrambi i ricorsi per un motivo fondamentale: la motivazione del Tribunale è insindacabile innanzi alla Suprema Corte di legittimità perché solida sotto il profilo logico – giuridico.

In particolare, il giudice di merito ha dato atto del possesso da parte della Azienda agricola gestita da Franco della autorizzazione alla fertirrigazione, allo scopo di reimpiegare le acque di vegetazione, cioè le acque di lavaggio impiegate nella attività di frangitura delle olive, mediante lo spandimento sui terreni oggetto della autorizzazione, con un mezzo agricolo dotato di cisterna e pompa irroratrice.

Dopo di che, però, il Tribunale ha evidenziato la diversa situazione accertata dalla polizia giudiziaria in occasione del sopralluogo. Situazione che era contraddistinta fondamentalmente dalla presenza di una tubatura collegata al bacino di stoccaggio con funzione di troppo pieno, che consentiva il defluire delle acque in eccesso rispetto alla capacità del bacino, mediante un’altra tubatura, che per circa 80 metri correva interrata a valle verso gli appezzamenti agricoli, per poi riaffiorare facendo defluire le acque per oltre 200 metri nei campi, sui quali per lunghi tratti si erano formati ristagni per l’eccessiva quantità di acque ricevute.

Dopo aver accertato questi elementi, erano state effettuate nel giudizio di primo grado anche analisi, che, eseguite sulle acque prelevate sia nel bacino sia in corrispondenza del punto di riafforamento della tubatura, avevano dato esito positivo per acque con alta percentuale di polifenoli, indicativi della provenienza delle acque dalla frangitura delle olive.

Sulla base di tale condizione dei luoghi, il Giudice ha, quindi, ritenuto che fosse svolta una attività di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, e cioè delle acque provenienti dalla lavorazioni delle olive, o comunque di acque contaminate dai residui delle prime presenti nel bacino di stoccaggio, in assenza di autorizzazione. Il titolo autorizzatorio di cui disponeva l’azienda agricola, infatti, non era idoneo a far ritenere lecita l’attività in questione, in quanto lo smaltimento dei rifiuti avveniva in tutt’altro modo rispetto alla fertirrigazione autorizzata.

Per tutte queste ragioni, la Corte di Piazza Cavour ritiene ritiene la sentenza emessa dal Tribunale logica e coerente con gli elementi emersi durante il dibattimento, oltre che conforme all’insegnamento che la stessa Suprema Corte ha fornito in numerose sentenze precedenti, secondo cui integra il reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, lo smaltimento, lo spandimento o l’abbandono incontrollati delle acque provenienti da un frantoio oleoso, potendosi applicare la disciplina prevista dalla L. 11 novembre 1996, n. 574 (quella che disciplina la “utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari”, ndr) ai soli casi in cui i reflui oleari abbiano una loro utilità ai fini agricoli.

La conseguenza di questa impostazione il lettore la può facilmente immaginare: il rigetto dei ricorsi degli imputati, la conferma della loro condanna e la loro condanna anche al pagamento delle spese processuali in favore della Cassa delle ammende.

 

3) Conclusioni e consigli

In conclusione, le autorizzazioni amministrative in ambito ambientale delineano le attività consentite in modo preciso e perentorio.

Prima di avviare quelle stesse attività, quindi, i titolari dell’autorizzazione devono comprendere perfettamente quello che possono e quello che non possono fare in forza del titolo autorizzatorio che hanno ottenuto.

Se hai responsabilità di qualsiasi titolo nell’esercizio di un’impresa e devi gestire rifiuti sulla base di un’autorizzazione ambientale di cui sei in possesso, il consiglio che posso darti, da esperto di diritto ambientale, non può che essere il seguente: stai bene attento a comprendere la tua autorizzazione e le prescrizioni che essa contiene, perchè tu sia sempre in grado di dimostrare che hai rispettato norme e procedure in modo rigoroso. Se commetti qualche errore o leggerezza, le conseguenze che possono derivarne, a te e alla tua azienda, non sono meno gravi per il solo fatto che quell’errore o quella leggerezza costituiscono un’eccezione, o giù di lì, a un’attività d’impresa, invece, sostanzialmente legale e corretta.

Errore o leggerezza in questo campo significano reati e pesanti sanzioni: per te e per il patrimonio stesso della tua impresa.

Sentenze come quella esaminata in questo articolo sono lì ad attestarlo.

Ragione in più per rivolgerti sempre a un consulente legale ambientale qualificato quando hai qualche dubbio su una procedura o anche solo un’attività della tua impresa: in particolare in ambito di gestione rifiuti, ma più in generale di normativa ambientale.

Non sarà un costo: sarà il miglior investimento che potrai fare per la tua azienda.

21\2\2024

Avv. Stefano Palmisano

 

Ti ricordo il mio videocorso pratico “La gestione dei sottoprodotti”, che puoi acquistare qui: https://www.avvstefanopalmisano.it/prodotto/la-gestione-dei-sottoprodotti-corso-pratico-online-per-imprenditori-e-consulenti-ambientali/ 

Se hai necessità di consulenza o assistenza legale in materia di gestione rifiuti e sottoprodotti, e, in generale, di normativa ambientale, scrivimi: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it 

1In materia di gestione rifiuti, su questo blog sono presenti vari articoli. Questo, per esempio, fa il punto della situazione, normativa e giurisprudenziale, sulla questione nevralgica del rapporto tra rifiuti e sottoprodotti.

2Sulla questione, sempre viva nella pratica giudiziaria, della differenza tra scarichi e rifiuti, si rinvia a questo breve pezzo pubblicato sul blog Cibo Diritto.

3(Cass. pen. Sez. III, Sent., – ud. 27-06-2018 – 21-11-2018, n. 52422)