Sottoprodotti il cuore dell'economia circolare

Sottoprodotti: il cuore del diritto dell’economia circolare

Fondamenti economici, finalità ecologiche, basi giuridiche e contraddizioni applicative del principale istituto giuridico del modello circolare: i sottoprodotti

Indice

I sottoprodotti e il loro “ambiente naturale”: rifiuto, non rifiuto, non più rifiuto

Sottoprodotti: descrizione e definizione legale

Sottoprodotti: insoliti sospetti…

… e provvedimenti inutilmente gravatori

I sottoprodotti, l’economia circolare, la simbiosi industriale, la P.A.: conclusioni provvisorie

I sottoprodotti e il loro “ambiente naturale”: rifiuto, non rifiuto, non più rifiuto

Per inquadrare in modo corretto i sottoprodotti sotto il profilo logico – giuridico, bisogna partire dal loro “ambiente naturale”: ossia dai rifiuti e dalla loro definizione legale; anche se di questi ultimi i sottoprodotti costituiscono, di fatto, la negazione, come si avrà modo di illustrare meglio nel prosieguo.

Un’altra premessa necessaria: le radici che i sottoprodotti affondano nella complessiva disciplina dei rifiuti sono diventate, per i primi, catene. Impediscono loro un pieno e autonomo sviluppo. Anche questo elemento emergerà dalla narrativa seguente.

Orbene, un rifiuto è qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi.

Così si esprime la legge (articolo 183 del Decreto legislativo 03/04/2006, n. 152, il cosiddetto Testo Unico Ambientale – TUA) che, come si può notare, fornisce una definizione molto ampia.

Da quella definizione scaturiscono, tra le altre, due fondamentali conseguenze che è il caso di sottolineare da subito:

  1. quando ci si trova di fronte a un residuo di produzione di un qualsiasi ciclo produttivo, la regola è che esso costituisca rifiuto;

  2. per gestire un rifiuto occorrono tutte le, varie, autorizzazioni che prevede la normativa. Gestire un rifiuto senza autorizzazione o anche solo non rispettare scrupolosamente tutte le prescrizioni contenute nell’autorizzazione stessa costituisce reato; è bene precisare anche questo elemento da subito.

Ci sono, poi, materiali o sostanze che la legge esclude espressamente, a monte, dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti: sono elencati in un articolo del Testo Unico Ambientale – TUA (all’art. 185). Per esempio, una sostanza che non costituisce rifiuto è il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, quando sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato.

Esistono, inoltre, i rifiuti che hanno cessato di essere tali alla fine di un articolato procedimento (il cosidetto “end of waste”), più precisamente di un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, che soddisfi alcuni criteri specifici. Alla fine di quest’operazione, compiuta in modo corretto, la sostanza o l’oggetto in questione diventa una cosiddetta materia prima seconda, anche se la definizione è ormai fuori corso legislativo (la norma che disciplina questo procedimento è l’art. 184 ter, sempre del TUA).

Infine, ci sono i sottoprodotti.

Sottoprodotti: descrizione e definizione legale

La leva industriale più efficace dell’economia circolare; il mezzo migliore per prevenire la produzione di rifiuti e attuare così la gerarchia europea in questo ambito; lo strumento più potente per realizzare la simbiosi industriale.

Se si cercasse una descrizione sintetica, quella, triplice, sopra fornita potrebbe forse raggiungere l’obiettivo, pur non essendo certamente esaustiva della materia.

Sotto il profilo strettamente giuridico, si tratta di residui di un ciclo di produzione che, a tassative condizioni di legge, possono essere trattati come nuove materie prime e non come rifiuti; possono, cioè, essere utilmente reimmessi nello stesso in altro ciclo di produzione.

Ciò può comportare straordinari benefici per l’ambiente: dalla riduzione, a mezzo di prevenzione, dei rifiuti all’omessa estrazione di nuove materie prime.

Ma anche vantaggi economici di enorme importanza per un’azienda.

Anzitutto, un sicuro risparmio di costi: sia in termini di gestione di rifiuti che di acquisto di nuove materie prime.

Ma c’è di più: i sottoprodotti possono portare veri e propri introiti aggiuntivi, derivanti dalla loro cessione ad altri imprenditori, che potrebbero utilizzarli nel ciclo di produzione delle loro aziende. Per non dire del grande contributo che questa innovazione nel complessivo ciclo di produzione comporta in termini di reale sostenibilità e di economia circolare, come si è ricordato sopra; con i conseguenti, meritati, benefici sull’immagine dell’azienda che se ne renda autrice.

I sottoprodotti sono disciplinati dall’art. 184 bis del Decreto legislativo 03/04/2006, n. 152 (il cosiddetto “Testo Unico Ambientale”), che è il caso di riportare per comodità del lettore almeno nel suo primo comma:

1. È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

I singoli requisiti sopra elencati costituiranno oggetto di successivi approfondimenti, ma sin d’ora è necessario evidenziare un elemento in diritto del tutto basilare per una corretta gestione di un residuo di produzione come sottoprodotto invece che come rifiuto: tutti i quattro requisiti contenuti nel primo comma della norma su citata devono sussistere contemporaneamente; se viene a mancare, dall’inizio o anche in un momento successivo, pure uno solo degli elementi in questione, lo scarto di produzione non potrà o non potrà più essere qualificato sottoprodotto e tornerà automaticamente a essere considerato come rifiuto, che quindi andrà gestito come tale.

Non è superfluo rammentare che la definizione legale contenuta nel TUA, sopra riportata, riprende in modo integrale, anche se con diverso ordine di esposizione dei quattro requisiti in questione, quella sancita nel fondamentale testo normativo in materia di rifiuti in ambito unionale: la Direttiva CEE 19/11/2008, n. 2008/98/CE che dedica l’intero articolo 5 proprio ai sottoprodotti. A proposito dell’abbraccio primigenio – e letale – dei sottoprodotti con i rifiuti!

Sottoprodotti: insoliti sospetti…

Risulta evidente, pertanto, che l’istituto giuridico (ed economico) in esame è di fondamentale importanza nella transizione ecologica e circolare dell’economia dell’Unione Europea, quindi anche dell’Italia.

Ciononostante, in questo Paese i sottoprodotti restano ancora circondati da sacche non estemporanee di “scetticismo”, quando non direttamente di diffidenza, nell’agire provvedimentale di alcune Pubbliche Amministrazioni nonché (come si vedrà nei prossimi contributi) nella prassi giurisprudenziale, anche delle Corti Supreme.

Qualche tempo fa – per fare solo un esempio, illuminante, della linea di tendenza su citata – la Sezione Antifrode e Controlli dell’Ufficio delle Dogane di Genova 2 con un proprio provvedimento riclassificava d’imperio una certa quantità di residui di produzione di un’azienda lombarda dalla categoria di sottoprodotto a quella di rifiuto.

Di conseguenza, intimava all’impresa di recuperare e conferire gli sfridi medesimi – ormai rifiuti a tutti gli effetti, secondo la prospettazione dell’ente pubblico – presso un impianto di smaltimento autorizzato.

La singolarità della vicenda, però, risiede nella motivazione del provvedimento in esame: il “sospetto che i residui presentati in dogana per l’esportazione, pure essendo sottoprodotti derivanti da processi produttivi, non continuino ad essere impiegati in un processo produttivo…“. Un sospetto tanto più “creativo” quanto più si ponga mente a un elemento: l’ufficio aveva disposto una verifica fisico-chimica della merce per accertare se gli scarti dovessero qualificarsi rifiuti, ai sensi della normativa unionale, ovvero sottoprodotti, secondo quanto dichiarato dall’azienda.

Ebbene, l’esito della verifica aveva avallato l’impostazione dell’azienda, dacché aveva “chiarito che il prodotto è un materiale di recupero/sfrido di lavorazione di una sola materia termoplastica, che può essere considerata materia prima secondaria”.

Un esito che, però, non ha scalfito il granitico convincimento dell’ente pubblico, che infatti ha ritenuto il suo stesso accertamento tamquam non esset e ha emanato il provvedimento citato all’inizio.

L’impresa produttrice lo ha impugnato innanzi al Tar, che lo ha annullato, come non era impossibile prevedere.

 

e provvedimenti inutilmente gravatori

L’Agenzia delle Dogane di Genova, però, non ha fatto una piega neanche di fronte a una sentenza semplicemente demolitrice – come si vedrà nel prosieguo – del proprio operato e ha interposto appello al Consiglio di Stato

Il gravame trovava il suo fondamento – secondo l’assunto della P.A. – in alcuni documenti prodotti dall’azienda in sede di procedimento amministrativo che, pur avallando la correttezza del provvedimento dello stesso ente pubblico, non sarebbero stati invece considerati dal Tar.

L’appello è stato integralmente rigettato dal Consiglio di Stato sulla base di una lunga e articolata serie di motivazioni (Cons. Stato, Sez. VII, Sent., (data ud. 08/02/2022) 24/02/2022, n. 1336).

Qui si prendono in considerazione solo quelle più rilevanti e “impattanti” sull’operato dell’ente pubblico ligure che aveva emesso il provvedimento annullato.

In primis, il collegio di Palazzo Spada ha confermato che il residuo di produzione costituiva un sottoprodotto, “valutando le specifiche circostanze del caso concreto a partire dal certificato di analisi 17.12.2020 del laboratorio dell’Ufficio Antifrode e Controlli dell’Agenzia.”

A fronte di questo dato oggettivo, l’atto d’appello delle Dogane “non ha smentito le precise argomentazioni e circostanze fattuali contenute nella sentenza appellata”.

A questo punto, il Consiglio non ha lesinato una considerazione illuminante sulla complessiva attività dell’Uffico delle Dogane in questa storia: “anche considerando che lo stesso provvedimento amministrativo impugnato in primo grado ha espressamente stabilito che trattasi di materiale che ha in sé le caratteristiche di sottoprodotto e che pertanto tale punto non è oggetto di controversia.

Difatti, incalzano i Giudici, nella sentenza di primo grado era stata “valutata la correttezza ed esaustività delle informazioni contenute nella scheda tecnica, la circostanza che l’acquirente del materiale abbia pagato un prezzo costituisce un ulteriore indizio dell’utilizzo del materiale come materia prima secondaria (cfr. l’art. 5 commi 3 e 4 del D.M. Ambiente 13.10.2016, n. 264), posto che, diversamente, il corrispettivo per il suo (illecito) smaltimento sarebbe stato verosimilmente pagato dal produttore del rifiuto.”

Per concludere, secondo il Collegio, dal Tribunale amministrativo era stato “osservato che le informazioni contenute nella scheda tecnica del prodotto circa le sue caratteristiche ed il relativo ciclo di produzione – la cui correttezza è stata convalidata all’esito della specifica istruttoria svolta dal laboratorio di analisi dell’ufficio Antifrode e Controlli dell’Agenzia – unitamente a tutta la documentazione contrattuale (contratto di acquisto, bonifico e fattura) appaiono univoci e adeguati nel supportare una valutazione prognostica circa il successivo utilizzo del prodotto come materia prima secondaria, sicché il provvedimento impugnato appare inutilmente gravatorio.

Questa singolare vicenda processuale si è chiusa nel modo più logico: “Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in

epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’amministrazione alle spese del grado d’appello nella misura di euro 4.000/00 (Quattromila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

I sottoprodotti, l’economia circolare, la simbiosi industriale, la P.A.: conclusioni provvisorie

La regolamentazione dei sottoprodotti ha natura di deroga e di favore rispetto a quella generale dei rifiuti; la Cassazione lo ha messo in evidenza più volte nelle sue pronunce.

Proprio questi principi ispiratori di vantaggio per gli imprenditori, però, fondano la necessità di una gestione limpida e rigorosa di questi strumenti da parte degli stessi operatori economici.

Quelle stesse pronunce giurisprudenziali, peraltro, dimostrano che in questo Paese anche una normativa come quella in materia di sottoprodotti costituisce, in occasioni non residuali, terreno di incursioni da parte di ecocriminali seriali, improvvidamente qualificati con il vezzeggiativo tutto italico di “ecofurbi”.

Premesso tutto ciò, tuttavia, è difficilmente accettabile l’impostazione di un ufficio pubblico che pretenda di applicare la cultura del sospetto come stella polare del suo agire provvedimentale, traslando quella stessa cultura nel corpo motivazionale di un provvedimento autoritativo, per difendere il quale quello stesso ente pubblico non si è peritato di attivare addirittura un giudizio innanzi al Consiglio di Stato. Con il conseguente, discutibilissimo, impiego di risorse pubbliche che tutto questo implica.

Quella cultura e il suo portato provvedimentale non sono compatibili con la Carta Costituzionale di questo Paese, il cui articolo 97 sancisce l’obbligo di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione

Ancor prima, però, non sono conciliabili con il concetto di Stato di diritto e con lo stesso buon senso.

Per non dire degli obblighi – codificati dall’Unione Europea, quindi cogenti anche per lo Stato italiano, in tutte le sue articolazioni – di sviluppare l’economia circolare: a partire dal suo ambito d’elezione, ossia la simbiosi industriale.

Obblighi che anzitutto comportano – nella più minimalistica delle accezioni – che gli Stati quantomeno impediscano che gli strumenti fondamentali dell’economia circolare e della simbiosi industriale vengano a mancare prematuramente.

Come i sottoprodotti, appunto.

Stefano Palmisano

Articolo pubblicato su Altalex il 9\12\2023