Greenwashing reato Stefano Palmisano avvocato

Greenwashing: e se fosse reato?

Modesti suggerimenti per il contrasto penale di un fenomeno commerciale sempre più diffuso e sempre più nocivo: per l’ambiente, per i consumatori e per le imprese pulite. A partire dal più classico dei delitti a tutela dell’industria e del commercio: la frode in commercio.

Indice

  1. Cenni di storia della frode in commercio

  2. Storie di frode in commercio

  3. Greenwashing: e se fosse reato?

  4. Greenwashing e frode in commercio

  5. Greenwashing e responsabilità da reato delle imprese

  6. Conclusioni provvisorie

1) Storia della frode in commercio

Nell’antico Egitto esistevano norme che punivano gli attentati alla fiducia commerciale. A Roma le frodi erano tanto frequenti che fu istituito un magistrato ad hoc, il Prefetto dell’annona. All’epoca dei comuni la repressione del fenomeno frodatorio era presa assai sul serio, sia sotto il profilo della durezza delle sanzioni che dell’ampiezza della tutela, come attesta la dettagliata casistica di vari statuti comunali in materia di vendita di generi alimentari di prima necessità (pane, farine, sale, vini, ecc.)

 

2) Storie di frode in commercio

Ai giorni nostri, la Corte di Cassazione ha affermato il delitto di frode in commercio in una gamma vastissima di casi finiti innanzi ai Giudici del Palazzaccio.

Sono oramai classici esempi di frode qualitativa l’offerta in vendita di un prodotto in stato di avanzato scongelamento senza l’indicazione dell’origine di prodotto congelato, come pure la detenzione di merce scaduta (anche se su quest’ultimo c’è contrasto) o ancora il produrre insaccati con carne congelata senza indicarlo, anzi presentando questi ultimi come freschi. Ancora, integra l’illecito penale in questione la detenzione per la somministrazione di alimenti congelati o surgelati all’interno di una pasticceria, senza l’indicazione di tale caratteristica. Costituisce, allo stesso modo, divergenza qualitativa, la consegna come mozzarella, prodotta con latte bufalino non fresco, ma surgelato, in difformità da quanto prescritto dal disciplinare di produzione.

Quanto al settore enologico, sussiste il reato di frode in commercio nel caso di miscelazione di vini da tavola nazionale con vini provenienti da diversi paesi dall’Unione Europea, senza specificare nella documentazione di accompagnamento (D.A.A.) il carattere blended del vino.

Per non far mancare niente a questo breve florilegio di pratiche commerciali creative, in piena pandemia è stata affermata la sussistenza del reato in caso di vendita di mascherine con marchio CE contraffatto.

Il comune denominatore in questo zibaldone di commerci truffaldini e commercianti levantini emerge quasi da ogni sentenza: un’informazione ingannevole, distorta, incompleta o, comunque, inadeguata degli operatori ai consumatori. E’ l’elemento da tenere in maggior considerazione ai fini della comprensione di quanto si dedurrà nel prosieguo del pezzo.

 

3) Greenwashing: e se fosse reato?

Cosa c’entra tutto questo con il greenwashing1?

C’entra parecchio.

Oggi i consumatori che hanno diritto a un’informazione affidabile e completa sull’impatto ambientale dei prodotti che acquistano; le imprese che prendono i loro obblighi di sostenibilità sul serio, e per questo impegnano risorse e rinunciano a profitti facili; ma, prima di tutti, l’ambiente che necessita di comportamenti umani a basso impatto e soprattutto responsabili quali strumenti di tutela legale hanno a disposizione verso quella pratica commerciale sempre più diffusa, sempre più lesiva e sempre meno nobile?

Strumenti fiacchi e frammentari, per dirla con la chiarezza che merita il tema.

Questo sostanziale vuoto di tutela si registra specie nei confronti degli individui che, all’interno delle imprese, sono materialmente responsabili di quelle stesse condotte aziendali.

Se un comportamento, che è ormai diventato fenomeno economico, viene ritenuto in modo pressoché unanime socialmente dannoso o pericoloso e, quindi, meritevole di contrasto – a partire dalle istituzioni dell’Unione Europea che, in questa materia, stanno lavorando a normative ad hoc per colmare il vuoto di tutela su citato, tra le varie che riguardano i complessi e sempre più regolamentati rapporti tra imprese e tutela ambientale2 – allora prima o poi si porrà la questione di una forma di repressione anche penale di quei comportamenti, di pari passo con la crescente percezione sociale della loro gravità e dei danni e pericoli che comportano. Il che vuol dire la questione di una tutela penale dei diritti dei consumatori, delle imprese e dell’ambiente, cui si accennava sopra dai danni e dai pericoli che comportano i “lavaggi verdi”.

In questi casi, di fronte a condotte e fenomeni illeciti del tutto nuovi rispetto a quelli previsti nel codice penale e nelle varie leggi speciali, la soluzione più logica ed efficace sarebbe quella di costruire nuove e apposite figure di reato, aderenti alle specificità delle fattispecie concrete e delle relative necessità di tutela.

Ma perché questo accada di solito occorrono tempi più o meno lunghi.

 

4) Greenwashing e frode in commercio

Nel frattempo, bisogna arrangiarsi con quello che passa l’ordinamento.

E, in verità, l’ordinamento passa qualcosa già oggi. Ossia, il nostro sistema penale contempla già allo stato attuale reati che potrebbero essere usati, in modo ragionevole, per colpire le imprese che si tingono di verde e i loro responsabili.

Il primo dei quali è quello dal quale siamo partiti: la “frode nell’esercizio del commercio”,3 la più classica delle previsioni penali in materia di commercio.

Alla stregua dell’interpretazione amplissima che essa ha sempre ricevuto dalla giurisprudenza, in particolare dalla Corte di Cassazione – di cui si è dato sopra appena qualche esempio – ci sono serie ragioni per ritenere che il millantare in capo a un prodotto delle qualità ambientali che non ha dovrebbe rientrare in un reato, come il nostro, fondato sul noto principio dell’aliud pro alio: la consegna di un prodotto al posto di un altro che non ha, in tutto o in parte, le qualità promesse; ossia la divergenza qualitativa di cui si parlava sopra.

 

5) Greenwashing e responsabilità da reato delle imprese

La qualificazione del greenwashing come frode in commercio comporterebbe una tutela di consumatori, imprese e ambiente più penetrante e ad ampio raggio. Per esempio, oltre alla responsabilità penale individuale dei soggetti operanti nell’interesse dell’impresa finto-verde, essa comporterebbe anche l’affermazione della diretta responsabilità di quest’ultima ai sensi della normativa di materia di responsabilità da reato degli enti e delle persone giuridiche.

Questa prevede, infatti, tra gli illeciti che fanno scattare le sanzioni a carico delle imprese, anche quello che stiamo esaminando4.

Non c’è bisogno di spendere molte parole per illustrare l’importanza di una tale prospettiva in chiave di tutela, dato che questo apparato sanzionatorio, da quando le Autorità Giudiziarie hanno iniziato ad applicarlo in maniera sistematica, ha assunto un ruolo centrale nella repressione dei “delitti d’impresa” e, di conseguenza, un effetto deterrente di tutto rispetto.

 

6) Conclusioni provvisorie

Il tema è ampio e delicato e quello di frode in commercio non è l’unico reato che potrebbe configuararsi con riferimento al greenwashing.

Per esempio, non è da escludersi a priori nemmeno il vero e proprio, e ben più grave, delitto di truffa, nella forma della cosiddetta “truffa contrattuale”; anche se, in tal caso, i profili di prova sarebbero parecchio più complessi.

Su questa ulteriore ipotesi di rilevanza penale del “lavaggio di verde”, o ambientalismo di facciata che dir si voglia, si tornerà in una sede più adeguata.

Qui è solo il caso di concludere queste brevi note con una considerazione finale: se il rilievo penale del greenwashing, prospettato in questo articolo, ha un fondamento, farebbero molto bene le imprese pulite, quelle che la sostenibilità la prendono sul serio e che subiscono la concorrenza sleale dei competitors green tarocchi, ad attivarsi subito anche e soprattutto in questa sede, quella penale.

Prima si libera il mercato dagli eco-cialtroni, meglio è: per l’ambiente, per i consumatori e per le imprese pulite.

8\9\2023

Stefano Palmisano

 

Se hai necessità di consulenza in materia di greenwashing o, comunque, di diritto ambientale, scrivimi: palmi.ius@avvstefanopalmisano.it

 

1In merito agli strumenti di tutela extrapenali dal greenwashing, ho fatto il punto in alcuni convegni e webinar; l’ultimo organizzato due mesi fa da Cis Formazione, all’interno di un ciclo di eventi in materia di Green Economy e strategia ESG.

2A questo macro tema ho già dedicato alcuni appronfodimenti su questo blog, a partire dalla proposta di direttiva in materia di due diligence ambientale: qui.

3Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile [c.c. 812; c.p. 624], per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065. 2. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103 [c.p. 29]. Art 515 c.p.

4Art. 25-bis.1. Delitti contro l’industria e il commercio, Decreto legislativo 08/06/2001, n. 231