Come realizzare l'economia circolare: gli esempi dei sottoprodotti e dei concimi

Economia circolare: gli esempi dei sottoprodotti e dei concimi

Due esempi di legislazione virtuosa per il modello produttivo del terzo millennio: quello circolare. E gli ostacoli che incontrano

Sintesi

L’economia circolare dovrà diventare l’economia “normale” del futuro; di quello prossimo, s’intende. Per questo, essa ha bisogno di basi giuridiche, ossia di una normativa di riferimento che ne promuova strumenti concreti e la disciplini. Nel testo proporremo alcuni esempi di economia circolare.

Alcune di quelle basi giuridiche, infatti, ci sono già; sono presenti nella legislazione dell’Unione Europea e, quindi, in quella nazionale. In questo articolo ci occuperemo di due esempi particolarmente significativi, anche se molto diversi tra loro, di questa legislazione della sostenibilità: i sottoprodotti e i concimi. Qui forniremo una prima infarinatura: più precisamente, accenneremo sia alle potenzialità delle due normative che agli ostacoli, di varia natura, che stanno già incontrando e che probabilmente incontreranno ancora.

In ogni caso, data l’estrema importanza di questi due argomenti specifici per un blog che si occupa di diritto dell’economia circolare, torneremo a breve su ognuno di essi per approfondimenti e indicazioni pratiche.

Indice

  1. I sottoprodotti

  2. L’onere della prova

  3. Il sospetto “istituzionale” intorno ai sottoprodotti

  4. I sottoprodotti e la regola delle “3R” in materia di rifiuti

  5. I concimi organici e riciclati: nella risoluzione del Parlamento europeo

  6. e nel nuovo Regolamento 1009\2019

  7. Le conseguenze sugli agricoltori

1) I sottoprodotti

I sottoprodotti sono residui di produzione (anche di natura alimentare, pur se con una disciplina ad hoc) che, a certe condizioni previste dalla legge, possono diventare a tutti gli effetti una nuova materia prima, ossia possono avere una nuova e utile vita produttiva; rimanendo così fuori dal circuito dei rifiuti e contribuendo in modo significativo alla riduzione di questi ultimi.

La normativa primaria di riferimento è contenuta nel cosiddetto Testo Unico Ambientale, il Decreto Legislativo n. 152\2006.

Vi si prevedono i quattro requisiti fondamentali che devono sussistere perché uno scarto di produzione possa non esser trattato (più) come rifiuto e possa, invece, esser gestito come un sottoprodotto:

a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.

A ognuno di questi elementi si dedicheranno articoli ad hoc.

2) L’onere della prova

Tuttavia, sin d’ora tocca fare un’annotazione: i sottoprodotti costituiscono un’eccezione, stabilita per legge, al principio generale per cui i residui di un ciclo di produzione costituiscono rifiuti.

Pertanto, in questa materia – ma più in generale in materia di rifiuti e di tutela dell’ambiente – è doverosa la massima attenzione e vigilanza perché qualche soggetto poco raccomandabile investito di responsabilità aziendali non sfrutti quello che è un istituto emblematicamente virtuoso dell’economia circolare per eludere la normativa e gli obblighi – fondamentali per la tutela dell’ambiente della salute pubblica – in materia di gestione dei rifiuti stessi. Ipotesi tutt’altro che teorica, peraltro, specie in questo paese.

Per questo, una premessa preliminare quando si analizza la regolamentazione dei sottoprodotti è di natura processuale, ossia metodologica: grava sul produttore l’onere della prova della natura di sottoprodotto e non di rifiuto dello scarto di cui si discute. In pratica, toccherà all’imprenditore dimostrare, con tutti i mezzi a sua disposizione – tra cui si annoverano quelli indicati nel Decreto Ministeriale n. 264\2016, su cui si tornerà – che del residuo di produzione in questione egli non aveva alcuna intenzione di disfarsi, bensì di destinarlo ad altro, preciso, processo produttivo, interno o esterno alla sua azienda.

3) Il sospetto “istituzionale” intorno ai sottoprodotti

Fatta questa precisazione, però, risulta singolare l’atteggiamento di indiscriminato sospetto che sembra regnare sui sottoprodotti e sugli imprenditori che li lavorano, sia in ambito giurisprudenziale che normativo.

Si pensi, per tutti, al citato Decreto Ministeriale 264\2016 che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto esplicitare “criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti garantendo un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana favorendo, altresì, l’utilizzazione attenta e razionale delle risorse naturali dando priorità alle pratiche replicabili di simbiosi industriale.

Decreto che, invece, ha rischiato (e rischia) – come si illustrerà in maniera più compiuta nei prossimi approfondimenti – di diventare una vera e propria gabbia per via di disposizioni, contenute dentro e fuori il decreto stesso, spesso contraddistinte da oscurità e ambiguità, quando non proprio contraddittorietà al loro interno, con i correlativi rischi di sanzioni amministrative e soprattutto penali che ne conseguono.

Con l’ovvia conseguenza che non pochi degli operatori che vorrebbero sfruttare seriamente l’enorme possibilità di risparmio di risorse e di sostenibilità ambientale, pur di non sottoporsi alle forche caudine di quella bizzarra normazione, finiscono per rinunciare a questa opportunità produttiva, con effetti economici ed ecologici assai poco commendevoli per tutta la collettività.

4) I sottoprodotti e la regola delle “3R” in materia di rifiuti

Per concludere questa breve introduzione al tema in questione, si può senza dubbio affermare che i sottoprodotti costituiscono un fondamentale esempio di regolamentazione dell’economia circolare, anche in quanto integrano una concreta applicazione di un caposaldo di quest’ultima: la riduzione dei rifiuti a mezzo di prevenzione degli stessi. Principio che, peraltro, costituisce il primo degli obiettivi nella corretta gestione dei rifiuti stessi secondo la normativa dell’Unione Europea all’insegna delle “3 R”, in ordine decrescente di importanza: riduzione, riutilizzo e riciclo.

5) I concimi organici e riciclati: nella risoluzione del Parlamento europeo

L’agricoltura è settore assolutamente centrale per lo sviluppo dell’economia circolare, per le esigenze e le potenzialità che emergono in tal senso da quel mondo. Nel più complessivo comparto agricolo, l’ambito dei fertilizzanti è tra i più rilevanti sotto il profilo circolare.

E’ la posizione del Parlamento europeo, che con una recentissima risoluzione “insiste sulla necessità di iniziative legislative giuridicamente vincolanti e misure volte a consentire agli agricoltori di migliorare la gestione dei nutrienti; sottolinea l’importanza di perseguire tali obiettivi attraverso approcci olistici e circolari alla gestione dei nutrienti, come le pratiche agroecologiche e l’agricoltura intelligente, che possono offrire benefici collaterali per la qualità del suolo e la biodiversità e aiutare gli agricoltori a porre fine alla loro dipendenza dai fertilizzanti minerali e a ridurre i flussi di azoto e fosforo.”

La risoluzione prosegue asserendo che “la promozione di un maggiore utilizzo di nutrienti riciclati contribuirebbe ulteriormente allo sviluppo dell’economia circolare e consentirebbe un utilizzo generale dei nutrienti più efficiente sotto il profilo delle risorse, riducendo nel contempo la dipendenza dell’Unione dai nutrienti provenienti da paesi terzi.

Per raggiungere questo obiettivo, conclude l’Assemblea di Strasburgo, è fondamentale “includere i materiali riciclati e organici”.

6) … e nel nuovo Regolamento 1009\2019

Ma è soprattutto uno dei principi fondamentali del nuovo regolamento unionale in materia di fertilizzanti, il n. 1009\2019, che muove proprio dalla riconosciuta “esigenza di utilizzare materiali riciclati od organici per la concimazione” e ne ricava la conseguenza che “è opportuno fissare condizioni armonizzate per la messa a disposizione sull’intero mercato interno di concimi ottenuti da tali materiali riciclati od organici allo scopo di offrire un consistente incentivo al loro ulteriore impiego.” Ciò perché, “la promozione di un maggiore utilizzo di nutrienti riciclati contribuirebbe ulteriormente allo sviluppo dell’economia circolare e consentirebbe un utilizzo generale dei nutrienti più efficiente sotto il profilo delle risorse, riducendo nel contempo la dipendenza dell’Unione dai nutrienti provenienti da paesi terzi.

Il regolamento in questione abroga, a partire dal 16 luglio 2022, il precedente regolamento n. 2003/2003 che riguarda quasi esclusivamente i concimi prodotti a partire da materiali inorganici derivanti dall’attività estrattiva od ottenuti per via chimica.

7) Le conseguenze sugli agricoltori

Questa nuova normativa comunitaria sui fertilizzanti comporterà per gli agricoltori conseguenze di grande importanza, alcune delle quali già al presente, dato che se l’entrata in vigore del regolamento nel suo complesso è alla data citata del 16 luglio 2022, alcune sue norme sono già vigenti, come quelle, di rilievo, che disciplinano la notifica degli organismi di valutazione della conformità.

Anche in questo caso, ci troviamo in presenza di un’innovazione legislativa di grande portata in un settore cruciale della produzione agroalimentare; una novità tutta protesa a favorirne la riconversione circolare e a renderla, quindi, complessivamente più sostenibile.

Neanche qui, peraltro, mancano le incognite su alcuni aspetti specifici di una normativa che cambierà il volto della regolamentazione dei concimi e che, quindi, è attesa alla prova del fuoco dell’entrata in vigore.

Taluni addetti ai lavori, per esempio, non mancano di evidenziare che fertilizzanti ottenuti dai rifiuti spesso, troppo spesso, presentano non conformità rispetto al testo normativo fondamentale in ambito nazionale, ossia il Decreto Legislativo n. 75 del 2010.

Ma pure in questa materia le opportunità e i benefici, per l’economia del settore e per l’ambiente, potrebbero – anzi, dovrebbero – essere di gran lunga superiori alle incognite e ai rischi.

17\1\2022

Stefano Palmisano

Per approfondimenti sul tema dell’economia circolare: https://economiacircolare.com/; https://circularity.com/